LA NEVE CHE NON C’ERA
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La corriera blu correva veloce lungo la 203 deserta. Appena passato quel Natale di fine anni ’80, era giunto il tempo di trascorrere una manciata di giorni di vacanza a San Tomaso in compagnia dei nonni e di un inverno stranamente senza neve. Un clima secco mi accolse a Cencenighe; c’era un gran freddo, nemmeno una nuvola in cielo e quando, dopo una mezz’ora di camminata, aprii la porta di casa a Colzaresè, la luce del sole lambiva la cima del Pelsa; ancora pochi minuti buoni per ammirare quel paesaggio brullo, poi sarebbe iniziato quel tempo quieto delle lunghe sere di fine dicembre. La cena alle diciotto e trenta, il TG1 delle venti e poi una lunga e fresca notte nella stanza dai muri rosa. La luce blu dell’alba mi presentò un mondo arido e silente; l’erba secca e ingiallita dei prati ricoperta da una brina leggera, il cielo perfettamente pulito e un profondo silenzio d’inverno. Insieme al nuovo giorno si era materializzato un tempo nuovo, fermo, freddo e indifferente; tutto taceva nei dintorni di casa, e il Pelsa si era chiuso in un ostinato tacere. Ad inizio dicembre aveva atteso quella neve che avrebbe dovuto imbiancare la sua lunga cima e riempire i ripidi canaloni. Pure i boschi che circondavano Ghisel e Colaz avevano atteso, ma quel attendere era stato vano. Dal cielo non era sceso nulla, era stato solamente cielo perfettamente sgombro di nubi. C’era polvere sull’asfalto della provinciale e l’acqua della fontana era ghiacciata; la si percepiva distintamente la mancanza della neve che non c’era, e da fondovalle non saliva alcun rumore di auto cariche di sci. All’orizzonte, le piste di Alleghe si mostravano come righe d’erba secca tracciate sul costone del Fertazza e d’intorno tutto taceva; la natura era spenta e pure gli uomini parlavano poco durante quelle giornate sempre uguali. Alba e tramonto, nel mezzo un tempo rallentato, mezze ore che parevano giorni e nemmeno una nuvola in cielo. Suoni, gesti, parole, tutto assumeva un valore nuovo e prezioso in quel mondo essenziale dominato dalla neve che non c’era. I campi si sentivano nudi senza la bianca coperta che in quella stagione sempre lì ricopriva, ed anche gli uomini, forse, si sentivano diversi dal solito. Guardavo il cielo perfettamente pulito per cercare qualcosa, un segno che forse avrebbe annunciato qualche cambiamento; ma nulla accadeva, quella neve desiderata sarebbe rimasta sogno, e sogno sarebbero rimaste pure le belle sciate sulle piste da fondo di Falcade e del Nevegal. “Lè suces encora invern così”, dicevano con sicurezza i nonni mentre scrutavo il cielo e i boschi arsi di siccità; poi aggiungevano un “te vedarà che la riva cande che sarà ora”, e quasi sicuramente sarebbe accaduto a febbraio, il mese “dela nef chela granda”. Intanto quei giorni di vacanza scorrevano pigri, scanditi dal monotono suono provocato della pallina da tennis scagliata con precisione sulla porta d’entrata che, in quei frangenti, fungeva da porta di hockey. Una stecca autocostruita che permetteva solamente il tiro “di polso” altrimenti si sarebbe subito sfasciata, e la sfida di centrare la porta e non le finestre della cucina, che rompere i vetri a fine dicembre era decisamente da evitare. Pomeriggi così, in cui i tiri divenivano sempre più precisi e la terra sempre più arsa; solo al mattino, a volte, una passeggiata a piedi fino a Cencenighe per acquistare il pane e qualche altro prodotto. E i passi erano lenti lungo la provinciale, che non c’era alcuna fretta, bastava essere a casa per l’ora di pranzo. E pure fra il Biois ed il Cordevole i giorni si trascinavano stancamente; l’acqua dei torrenti cantava piano scorrendo fra pietre bianche di brina, e per strada il passare di poche auto con il ronzio di gomme chiodate che rotolavano sull’asfalto secco. Poi un ultimo e sobrio ultimo dell’anno quasi senza petardi a mezzanotte e ancora qualche giorno di quiete solenne, fino a quel pomeriggio in cui la Ritmo si fece sentire mentre saliva lungo le curve della provinciale. Niente “pavarui” quella sera dell’Epifania; l’ordinanza affissa sul palo accanto alla fontana era molto chiara. Partimmo in direzione Belluno che erano passate da poco le diciotto; un ultimo sguardo alle luminarie che poche ore più tardi sarebbero state spente. Da quel momento in poi, sulle valli sarebbe sceso il potente silenzio di un lungo gennaio senza neve.
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