IL SILENZIO DELLA NOTTE
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A San Tomaso, le notti di dicembre hanno dentro i silenzi più profondi dell’anno. È un giungere quasi improvviso quello del buio, non come accade d’estate, quando il tramonto è lungo e il giorno sembra spegnersi a fatica. È questione di minuti, l’ombra che risale rapidamente la parete del Pelsa e poi lo sfumare di un altro freddo giorno e l’accendersi del silenzio delle sere d’inverno e delle stelle. Non è come d’estate, quando al tempo della luna che rischiara la Val Cordevole, è il frinire continuo dei grilli a tenere compagnia; e poi, se non c’è siccità, anche il Rù da Ghisel con la sua voce d’acqua, rientra fra i protagonisti di quelle mie notti agordine insieme all’abbaiare di qualche cane ed al vociare allegro di bambini che si attardano a giocare nel tepore delle gentili sere di luglio. A dicembre, invece, niente di tutto ciò ad accompagnare le lunghe notti di gelo che fa scricchiolare la neve; solamente un silenzio profondo, così diverso, ad esempio, dalla quiete di Cencenighe in versione notturna. A “Cence”, le notti estive ed invernali si assomigliano; l’eterno scorrere del Biois a fare da sottofondo più o meno marcato, qualche auto solitaria i cui fari bucano la notte mentre salgono o scendono dalla valle del Biois, e poi la campana, che implacabile batte le ore e pure le mezze ore. Di notte c’è sempre compagnia a piedi del Pelsa, di fronte alla grande parete, invece, si è immersi in una quiete assoluta e potente a cui non si è nemmeno più abituati. Lassù, d’inverno, anche i suoni sembrano congelati, addormentati come i larici ormai ingrigiti d’inizio dicembre. Non c’è il sommesso brusio notturno che talvolta sale dalla 203 che si snoda sinuosa a fondovalle; non c’è nemmeno il canto della “zoita” che inquieta e che un tempo sembrava volesse annunciare imminenti disgrazie. Lassù, durante quelle lunghe e gelide notti, per l’orecchio non c’è lavoro; non c’è nulla da ascoltare durante gli attimi che precedono il sonno, e se per caso nell’oscurità si palesa improvviso qualche suono, esso fa trasalire, ed anche il più discreto e sommesso rumore lassù diventa potente. Può essere lo scricchiolare improvviso di una trave di legno, oppure una raffica di vento che fa sbattere uno scuro; o magari il muovere cauto di un cervo che passeggia nei pressi della casa. Non sono frequenti le notti inquiete a dicembre, è raro che qualcosa o qualcuno interrompa quel freddo tacere di pietra d’inizio inverno; quando accade è la natura ad essere agitata e spesso parla con voce di vento, come quella sera di Santa Lucia di un anno fa, quando il Föhn soffiava impetuoso lungo la Val Cordevole e da fondovalle saliva un rombo cupo e i larici si piegavano verso sud; fu notte quasi insonne, accompagnata da quel ululare severo e continuo che incuteva un sottile timore; risuonava tetramente il tetto di lamiera del tabià e la vecchia “zaresera” sembrava quasi essere sul punto di cedere, spinta com’era dalle continue raffiche che andavano a scuotere gli ormai fragili rami. Fu una lunga e inedita nottata e poi arrivò un’alba gelida, limpida e pura come il cristallo e il freddo tramonto successivo fu preludio di notte tranquilla, in parte trascorsa ad ammirare quel mondo innevato e silente, brillante di ghiaccio e carico di ricordi. Luci di Natale, intermittenti e colorate, ravvivavano il buio e le montagne erano profili neri che si scorgevano appena; e poi il gran silenzio tante volte ascoltato delle lunghe e fredde notti d’inverno.
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