PAVARUI 2023
AUDIO
Appena chiuso lo sportello dell’auto iniziò a nevicare. A metà mattina già si respirava la classica aria da neve mentre le nuvole si addensavano coprendo dapprima le cime e poi le pareti e i boschi. L’aveva sognata quella neve che ancora scendeva sottile, ed ora provava una gioia sincera mista alla malinconia del dover partire poco dopo la suonata serale della campana grande, per raggiungere la città, dove sicuramente stava piovendo. Talvolta, mentre camminava nel bosco, tendeva la mano per afferrare uno di quei fiocchi umidi che si ingrossavano di minuto in minuto. Lo guardava sciogliersi rapidamente nel palmo arrossato dal freddo, svanendo come la prima neve sui prati durante quei pomeriggi troppo caldi di fine dicembre. Camminava leggero lungo il tratto più ripido della salita e pensava che ora, con l’anno nuovo appena iniziato, l’inverno ci stava riprovando ad imbiancare quella terra che reclamava neve. Gli piaceva sentire quei fiocchi che ogni tanto si infilavano nel piumino e finivano per bagnarli il collo; gli sembrava di essere ritornato bambino, al tempo di quelle domeniche pomeriggio trascorse di fronte al Pelsa a giocare con l’inverno e i suoi silenzi. Poco più di venti minuti più tardi scorse il piccolo tabià fra gli alberi spogli. Due giri di chiave, l’accendere il fuoco, il riempire la moka del caffè e fuori la neve che ora stava imbiancando il prato. Mentre attendeva il salire del caffè pensava a come era cambiato tutto in appena due giorni; quarantotto ore prima si trovava sempre da quelle parti al tempo del tramonto, ma quel pomeriggio il cielo era limpido, non c’era un gran freddo e soprattutto aveva trovato compagnia, ed era un fatto piuttosto raro in quel luogo di solitudini e silenzi. Quel cinque gennaio era salito sul monte per assistere allo spettacolo dei Pavarui, i fuochi che per tradizione vengono accesi per indicare ai Re Magi la strada che conduce alla capanna del Bambino Gesù. Appena arrivato sull’orlo del grande salto si era meravigliato del fatto che, al posto della classica catasta di rami, fosse stato costruito un telaio “de stanghe” che reggeva una sorta di “specchio” che doveva necessariamente riflettere qualcosa. Si presagiva un qualcosa di innovativo che dì lì a poco sarebbe stato messo in funzione. Li aveva visti sbucare fra gli alberi all’imbrunire e poco dopo li aveva raggiunti sul filo dello strapiombo. Poco più di un quarto d’ora per preparare quello che non sarebbe stato un falò; gesti precisi compiuti a pochi passi dal baratro mentre il buio calava sulla valle, poco più di un quarto d’ora per approntare lo spettacolo. Anche lassù sulle cime tutto sembrava pronto; segnali luminosi, provenienti dalla cima ovest dello Spiz de Medodì, stavano ad indicare che finalmente era giunto il momento di accendere fuochi e torce, e c’era un sentimento di gratitudine e ammirazione per quelle persone che si erano recate sulle vette innevate per rinnovare ancora una volta questa suggestiva tradizione. A notte fatta lo spettacolo era davvero suggestivo; fuochi e torce ardevano sulle cime ed in paese, i botti dei fuochi d’artificio rimbombavano fra le montagne e anche la luna si fece partecipe spuntando sopra Col Mandro illuminando la valle. Un brindisi a base di prosecco a celebrare quel suggestivo tardo pomeriggio vissuto a pochi passi dal vuoto e poi lo smontare e raccogliere tutto ciò che era servito per creare quel pavarui innovativo. Poco più tardi tutto era già divenuto ricordo; un caffè bollente buono per riscaldarsi dopo un paio d’ore al freddo e poi la discesa alla luce della luna e delle lampade frontali. Anche all’inizio del 2023 i Re Magi avevano avuto la strada illuminata e l’agordino aveva vissuto la sua serata più suggestiva. Ora, a pavarui spenti, sulle valli sarebbe sceso il grande silenzio del profondo inverno.
******