LARZONEI
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“…sarae da mandali a sta a Larzonei…” era un modo di dire sarcastico, ma nemmeno tanto, utilizzato a corredo di qualche commento di gente che solitamente viveva in città, che si lamentava di disagi metropolitani di minima entità. E chissà dove si trovava questo Larzonei, pensavo in età bambina; “…lè su par chi Fodom…” era la risposta un po’ vaga alla mia domanda. Poi, quando ho iniziato ad avventurarmi su qualche cima, ho imparato ad individuare questo piccolo borgo situato sul costone sud del monte Pore; un puntino nell’immenso panorama dolomitico, e così è stato per anni, per me, questo villaggio; un modo di dire, un gruppo di case e tabià da cercare con il binocolo e una tabella stradale posta a poco più di un chilometro dal termine della Strada Madre. Poi, in una rovente domenica di metà luglio, ecco la salvifica idea anti calura; mi reco a cercare un po’ di fresco in alto, a Larzonei frazione di Livinallongo, così, oltre a godermi un po’ di frescura, posso finalmente conoscere questo borgo aggrappato ai pendii del monte Pore che può ammirare l’intera parete nord del Civetta. La Panda saliva con grinta lungo la stretta e severa strada che inizia poco più di un chilometro prima di raggiungere Cernadoi; una rotabile a misura di Panda, possibilmente 4×4 come quella da me utilizzata, perfetta per affrontare d’inverno i quattro tornanti e poi il tratto sospeso sul vuoto e sovrastato dalla verticale parete rocciosa. Poi il tracciato si addolcisce mentre si snoda nel bosco e ad un certo punto, un po’ prima di raggiungere la frazione, il paesaggio si apre diventando arioso. Ed è in questo punto che ho parcheggiato per poi proseguire a piedi. A sud la maestosa parete nord del Civetta si mostrava in tutta la sua grandiosità, a nord, invece, i prati perfettamente curati mi riportavano alla mente quel “…se slarga i prà nel cielo…” cantato a piena voce dai Crodaioli diretti dal grande M° Bepi De Marzi. “. Ancora qualche decina di metri di cammino ed ecco apparire il borgo; i grandi tabià con le cataste di legna perfettamente a piombo poste al riparo sotto ai palanzin, le grandi case con le piccole finestre, una fontana e gli orti in pendenza. Passeggiavo pensando alla breve estate di lassù e a coloro che, in quell’infuocato pomeriggio di metà luglio, boccheggiavano in pianura magari sognando la perfetta frescura di Larzonei. Poi guardavo la legna accatastata e pensavo che l’estate a 1561 metri di quota è un tempo effimero; bastano un temporale oppure un giorno di maltempo a richiamare suggestioni d’autunno e, magari alla sera, un po’ di fuoco nelle stufe. Prima di ripercorrere a ritroso i miei passi ho dedicato un po’ di tempo alla piccola e graziosa chiesa di San Silvestro; l’ho trovata aperta, con la porta spalancata, ed è stata una piacevole sorpresa in questi tempi di chiese chiuse a chiave e altari protetti da sofisticati sistemi d’allarme. C’era un bel silenzio che invitava al raccoglimento nella chiesa dedicata al Santo che si celebra l’ultimo giorno dell’anno, e mentre ammiravo lo splendido altare adornato di fiori freschi, pensavo alle notti d’inverno di quassù; alla tanta neve che quasi sempre ricopre i prati e i tetti delle case, alla luce della luna che fa scintillare il ghiaccio potente di gennaio. Silenzi e camini fumanti ed il profilo del Civetta che si intravede all’orizzonte; suggestioni d’inverno che quassù è sempre inverno per davvero. All’uscita della chiesa mi attendeva la dolce estate degli oltre millecinquecento metri e un piacevole vento che mi ha accompagnato fino alla macchina. Poi ancora uno sguardo alle montagne e poi una promessa; tornerò presto in questo borgo aggrappato alla montagna, dove il vivere è sacrificio ed anche un po’ poesia.
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