NEL BOSCO DI SERA
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Era un tardo pomeriggio limpido e freddo di fine gennaio, un tempo di braci morenti e di gelo severo che cresceva di minuto in minuto mentre la penombra calava sulla valle. Lassù, le sere della stagione dei silenzi nascono in modo repentino, l’arrivo del buio è questione di attimi e solitamente i preparativi per il rientro dalla sommità del monte iniziano in quei momenti. Anche in quella occasione ho ascoltato l’ultimo crepitare del fuoco e poi mi sono recato sull’orlo del grande salto per il saluto serale alla mia valle. Laggiù, nel mondo di sotto, i camini fumavano con vigore mentre i fari delle auto illuminavano l’asfalto della Strada Madre; nel mondo di sopra, invece, regnava il potente silenzio dell’imbrunire d’inverno. Lassù, sopra le creste innevate del Pelsa, un tripudio di stelle e costellazioni e una mezzaluna perfetta, affilata come una falce, che passeggiava lentamente in quel gelido cielo ormai quasi nero. Era tempo di partire, di iniziare la consueta discesa che in una ventina di minuti mi avrebbe condotto alla base del monte e fuori da quel sogno silente. La poca neve scintillava al debole chiarore della luna crescente e scricchiolava ad ogni passo mentre la luce bianca della frontale mostrava il fiato che ghiacciava sulla barba; aldilà del cono luminoso un ignoto conosciuto, un mondo spento dove nomi e storie si intrecciano, e pareva quasi di percepirle quelle presenze che forse vagano ancora nell’oscurità del bosco delle Anime. Lo spirito del piccolo Gervasio, caduto da un albero poco prima dell’inizio della Grande Guerra mentre badava alla vacca insieme a quello della piccola Rita, perdutasi da queste parti poco prima del Natale del ventidue, il cui corpo fu rinvenuto al tempo in cui l’inverno inizia a mollare un po’ la presa. E poi chissà quali altre anime percorrono di notte questi sentieri; antiche leggende che si perdono nel tempo narrano di un cimitero presente nei pressi della sommità del monte. Passi e pensieri, impronte degli scarponi sulla neve ghiacciata e il freddo secco di una nuova notte di fine gennaio. C’erano le stelle sopra le cime degli alberi addormentati e un leggero muovere di rami che animava il bosco, e laggiù lontane in direzione nord, brillavano le tranquille luci di Alleghe. Il bosco di sera è carico di una quiete che d’inverno è assoluta; nessun suono, solo quello del proprio camminare e tutto intorno la natura appare spenta. Non è come d’estate, quando il giorno sfuma lentamente e il cammino notturno è accompagnato dall’enigmatico canto del “bereghel”; e nemmeno come ai primi di ottobre, quando il potente bramito dei cervi squarcia il silenzio della montagna regalando una inedita vitalità al bosco. Venti minuti da vivere nella quiete di un mondo che di sera appare misterioso, un mondo dove non si guarda ma si ascolta. Poi, alla fine del sentiero, il ritornare dei suoni della vita normale e dei fanali delle auto che per pochi istanti rompono l’oscurità della notte appena nata. Spesso, mentre apro la porta della macchina parcheggiata nei pressi della provinciale, sento in lontananza i rintocchi delle campane di San Tomaso che annunciano la fine del giorno; è il tempo di un altro partire e di una nuova notte di stelle che brillano “sora le mè zime”.