LA STRADA MADRE
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La Strada Madre è quel nastro d’asfalto che da sempre mi conduce lì dove il vivere è più lento e il cuore batte più forte. Un sinuoso snodarsi in riva al Cordevole sotto le alte pareti di montagne selvagge e ogni curva, ogni avvallamento e ogni scorcio, è bene impresso nella mia memoria e nella mia schiena. La Strada Madre, profumo di fieno di fine giugno a Candaten e l’apparire dell’Agner al curvone di La Muda e poi i cippi di cemento e i segnali con impresso quel nome, S.R. 203 Agordina, un nome che da sempre è protagonista nel film che narra la mia vita. È così la mia strada, dispensatrice di panorami e di storie da raccontare, compagna silenziosa in quelle notti di stelle e pensieri, tortuoso serpente d’asfalto che si infila fra i monti e che mi porta lassù, dove abitano i miei ricordi più belli di quei tempi ormai lontani, quando c’eravamo ancora tutti e ogni viaggio era una piccola avventura da ricordare magari per poco o forse per sempre. A volte, mentre percorro l’Agordina, penso che mi piacerebbe ripercorrere il tracciato originale, quello della mia infanzia. La strada dei Castei e poi la Strada Dimenticata, quella che correva a mezza costa lungo la stretta di Mezcanal che segna il confine fra Taibon e Cencenighe. Non sono mai riuscito a guidarli quei tratti di strada severi e talvolta pericolosi; al conseguimento della patente quei tracciati di Strada Madre da pochi mesi erano divenuti ricordo che talvolta riaffiora. Uno dei miei sogni semplici, purtroppo impossibile da realizzare, è quello di poterla percorrere, anche una volta soltanto, come nei gloriosi anni ’80. Un desiderio inattuabile nella realtà, un sogno destinato a rimanere tale ma che poi, in una sera come tante, si è realizzato seppure in modo virtuale. Stavo trascorrendo una serata simile a tante altre quando è apparso sullo schermo dello smartphone un vecchio video caricato su Facebook, girato proprio in quegli anni che amo ricordare. Quando ho guardato questo splendido filmato datato 1991 “me quasi vegnù dù ‘na lagrema”. Eccola la “mia” Strada Madre, quella vera, quella della mia gioventù, quella originale non ancora addomesticata da gallerie e tangenziali e autovelox. Il video mostra una sorta di “camera corriera”, e la corriera è un Iveco 370 con il cambio manuale e colorata di blu. L’asfalto chiaro di allora, le righe gialle del ciglio strada e niente riga di mezzeria, le case del villaggio ENEL di La Stanga ancora malinconicamente chiuse. E poi sù, l’Agner all’orizzonte carico dell’ultima neve di primavera e alla Muda niente galleria dei Castei; eccolo il ponte del Torner, per un attimo la cascata della Pissa ancora attiva e la mitica Riva dei Castei. Niente passaggio di fronte alla Casa dei Silenzi, e in fondo va bene così, è giusto che qualcosa rimanga ricordo da immaginare soltanto. Poi le curve di Ponte Alto, l’ingresso ad Agordo e il passaggio nella strettoia di Tocol, con il limite di velocità che diventa subito di 70 km/h e fine divieto di sorpasso. Taibon, Listolade e poi un tratto della “Strada Dimenticata”. Successivamente l’ingresso a Cencenighe, con la discesa “del Kanguro” e poi il cartello giallo con scritto “Hotel Molino a 9 km” e l’acqua di disgelo del lago del Ghirlo che sfiorava dalle paratoie. Che bello rivedere Cencenighe al tempo in cui arrivavamo in paese a bordo della Ritmo grigia. Poi il momento che più mi ha commosso, ovvero la visuale dalla corriera in sosta alla fermata situata accanto alla Birreria Stella; era questo ciò che vedevo quando salivo sulla Iveco azzurrina che portava a San Tomaso. Arrivato a questo punto blocco il video e scendo virtualmente dalla corriera salutando educatamente l’autista che poco dopo ripartirà alla volta di Vallada. È stato bello viaggiare in quel passato improvvisamente ritornato, ed ora, grazie alla tecnologia, quando ne avrò voglia potrò ancora salire su quella corriera blu che mi condurrà ancora una volta dove dimora il mio tempo migliore.
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