IL SILENZIO DEI LARICI
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Era un giorno d’inizio aprile in cui la primavera era ancora miraggio lontano. Neve sfinita sui costoni in ombra e cielo triste, vento da nord e silenzio che sapeva d’inverno. Mi trovavo sulla cima del monte a pochi metri dal grande salto quando, fra gli alberi feriti e ancora spogli, apparve un uomo di mezza età, di quelli che parlano poco e sanno tanto. Guardavamo le nuvole e Cencenighe a fondovalle, commentavamo quell’inizio di primavera stentata e poi ci siamo messi a parlare di alberi. Erano trascorsi appena cinque mesi dalla grande tempesta e intorno a noi erano tanti gli abeti malinconicamente sdraiati. “Per fortuna i larici si sono salvati”, dissi con inopportuna sicurezza. Lui non disse nulla, mi porse il suo binocolo e mi disse Guarda lassù; guardai, e vidi ciò che i miei occhi non avrebbero mai voluto vedere. Passarono i mesi e arrivò un altro inverno, e un sabato mattina andai lassù, ad ascoltare il silenzio dei larici. Era una mattina sbagliata di gennaio, di nuvole pesanti e nevischio bagnato. Niente panorama, solamente nebbia e una grande fatica a battere la traccia su quella neve pesante. Lassù, alla quota degli ultimi larici, il disastro. Il vento di quella sera di fine ottobre aveva letteralmente piallato una grande fascia di bosco e sul terreno giacevano aggrovigliati i tronchi spezzati dei larici centenari. Alcuni emergevano dalla neve, e solamente uno era rimasto fieramente in piedi. Poi iniziò a nevicare fitto e ritornai a valle impressionato da ciò che avevo visto lassù. Passarono dieci mesi e in una fredda e limpida mattina di novembre ritornai lassù. Al Sacrario dei Larici Caduti regnava un gran silenzio, nemmeno un refolo di vento novembrino a disturbare quella quiete perfetta. Nei mesi estivi, le salme dei larici centenari abbattuti in quella triste sera, erano state raccolte ed accatastate nei pressi della vecchia galleria “delle Anime”. I nomi non sono mai casuali; era bello che quei poveri tronchi avessero trovato riposo alle pendici del Monte Anime, all’ombra di un monte il cui nome evoca serenità e raccoglimento. Lassù, ad oltre 1700 metri, il duro e rischioso lavoro dei boscaioli aveva restituito dignità alla montagna. Ora quella pala di bosco era pronta ad accogliere nuova vita. Nuovi larici stavano crescendo laddove “quel” vento aveva soffiato con ferocia. Giovani e forti puntavano a sfiorare il cielo e il grande larice, quello più maestoso, il patriarca che aveva sfidato e battuto la tempesta, li stava guidando nel loro diventare adulti. Il grande larice trasmetteva forza e serenità e maestoso si mostrava come un solitario guardiano della Val Cordevole che vegliava la grande foresta dei Mesaroz che ormai si stava preparando al lungo sonno della stagione dei silenzi. Allo spegnersi del sole, ecco il freddo avvolgere i boschi e la malga che sorge alle pendici della cima di Pape. Era l’ora di scendere mentre le ombre si allungavano e la neve righiacciava. Ancora una breve sosta al Sacrario dei Larici Caduti e poi soltanto il rumore degli scarponi sulla neve e la grande pace della Montagna.
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