QUASI NOVEMBRE
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Soppelsa, Manfroi, Chenet, Groppa, De Biasio e Fontanive, questi sono i cognomi delle donne e degli uomini di Cencenighe che riposano per sempre dove nasce il Pelsa. Ascoltano il canto perenne del Cordevole e ammirano il Bosc dal Forn che dopo la metà di ottobre inizia a sfoggiare il suo abito più elegante. Non ci sono lapidi antiche con impresse quelle frasi auliche e struggenti scritte in quell’italiano che purtroppo è andato perduto; qui, nel cimitero lambito dall’acqua, vige la severa e triste data del 4 novembre 1966. Non ci sono sepolture antecedenti a quell’anno che segnò in modo drammatico la vita della gente agordina; prima dell’alluvione, i corpi dei ritornati alla Casa del Padre venivano tumulati nel vecchio cimitero che sorgeva nei pressi dell’odierno Nof Filò. Poi, durante quel triste 4 novembre di cinquantasette anni fa, le feroci acque del Biois sventrarono senza pietà il camposanto. Molti di quei defunti da quel giorno riposano nelle ghiaie del Cordevole, solo qualche salma sfuggita alla furia di quell’acqua marrone trovò riposo nel nuovo cimitero delle Vallesine. A volte passo a salutare queste Anime che riposano accanto al torrente, varco il cancello e salgo i gradoni ritrovando nomi e visi di persone che vedevo da bambino e ricordando il loro modo di camminare e di parlare. Saluto qualcuno andato avanti troppo presto e mi si stringe un po’ il cuore quando vedo quelle piccole tombe sulle quali coincidono le date di nascita e morte. Al termine del mese dei colori, le tombe tirate a lucido nei giorni dei Santi e dei Morti si ricopriranno di una candida brina e saranno accarezzate dal vento teso che lambisce il fianco del Pelsa; chissà se in quei giorni farà freddo come accadde tanti anni, circa alla metà degli anni ’80. In corridoio c’erano mazzi di crisantemi avvolti nella plastica trasparente e un pacco di lumini e papà, prima di recarci aldilà del Cordevole, mise un pezzo di carbone nella cucina economica. Faceva freddo e c’erano già quattro dita di neve ad imbiancare i marmi delle lapidi. Un tempo mesto come i visi delle persone intente ad accendere quelle candele che faticavano ad ardere e a sistemare quei fiori che ondeggiavano nei vasi. Vento, nuvole e cielo da neve, scricchiolare di ghiaino gelato, sussurri in dialetto e freddo che entrava nelle ossa dei vivi e dei defunti. Oppure chissà, forse in quei giorni ci sarà un tempo più gentile che andrà a mitigare quella inevitabile e dolce malinconia propria dei primi giorni di novembre. Forse ci sarà il sole del pomeriggio ad illuminare il camposanto che guarda il paese e ci sarà un po’ meno tristezza durante quel silenzioso salutare gli affetti più cari. Poi, a candele consumate, il mese triste inizierà a svelare la sua anima grigia, intrisa di sere sempre più precoci e di larici sfiorenti. E poi chissà, forse arriverà la neve come allora, ad offrire a queste Anime che riposano ai piedi del Pelsa, la fredda quiete di un nuovo e lungo inverno di montagna.
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