NEVE DI NOVEMBRE
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La neve d’inizio novembre riporta atmosfere passate, sorprende e obbliga a cambiare approccio; l’osservare, il camminare e guidare diventano gesti diversi, più accorti e ponderati. C’era la brina sull’asfalto della Strada Madre che si snoda lungo la Val Cordevole superato Cencenighe, era da tempo che non vedevo i tetti luccicare nei primi giorni del mese triste. E poi, appena superate le buie gallerie della strada della Val Fiorentina, ecco il bianco; era inverno lassù ai piedi del Cernera e cinque centimetri di neve ricoprivano i prati di Selva e le tombe del cimitero di Colle Santa Lucia. Erano rintocchi, quelli della campana, che sapevano di novembre d’altri tempi, con la neve precoce posata sui rami ancora dorati dei larici al tempo dei fiori freschi posati sulle lapidi rinnovate. La presunzione di saper prevedere tutto propria degli uomini l’aveva confinata lassù in alto, quasi al culmine delle montagne, e invece lei, come sovente accade, era scesa più in basso fino ad imbiancare i greti sassosi del Fiorentina e del Codalonga. Era accaduto durante quella notte in cui pioggia e vento avevano sferzato la pianura portando scompiglio e impaurendo gli uomini. Nel mondo di sotto i fiumi si erano ingrossati e avevano scavalcato gli argini, lassù, invece, era stato solamente frusciare della prima neve nel buio di una notte montana. L’alba si era presentata limpida e fredda, e alla prima luce del giorno l’inverno si era presentato agli abitanti della montagna. Qualcuno osservava dalla finestra, altri commentavano l’arrivo precoce del bianco che ricopriva i prati; non vi era nulla di eccezionale, in fondo, in ciò che era accaduto mentre loro dormivano, era già successo molte altre volte di ritrovarsi a posare fiori e lumini sulle tombe innevate. Gli uomini della montagna conoscevano e ricordavano i severi autunni di un tempo, eppure sui visi appariva ugualmente quello stupore un po’ bambino; la prima neve di stagione non lascia mai indifferenti, essa va a ricoprire gli orti ormai a riposo e a smuovere le anime e i cuori più rocciosi. Ai 1453 metri del paese che ammira la Val Fiorentina, si udiva una poesia declamata dal silenzio. Era timido gocciolare dai tetti accarezzati dal sole di metà mattina, erano i miei passi brevi e accorti che risalivano la strada che porta alla chiesa. Poi, durante la sera successiva, il freddo si fece sempre più sentire anche al mio paese, risvegliando ricordi lontani e mai sopiti e poco prima della mezzanotte arrivò la neve ad imbiancare il fondovalle. Osservai il suo scendere a tratti copioso mentre fluivano memorie di canottiere di lana e di affetti andati avanti, di giacche a vento colorate e poi fragore di gomme chiodate e crepitare della legna di larice che ardeva nella cucina economica. Guardai a lungo la piazza che si vestiva di bianco, e poi uscii di casa per qualche minuto; volevo sentire ancora una volta quel primo freddo di novembre d’altri tempi che chiamava l’inverno e ascoltare il silenzio della neve che evocava momenti andati. Al risveglio, quel bianco effimero era già ricordo ma lassù, appena sopra i boschi, era inverno per davvero, come accadeva quando c’eravamo ancora tutti e durante le notti del mese triste iniziavano a ghiacciare le fontane.
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