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SERE BELLUNESI
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Ho voglia di camminare stasera, di fuggire dalle mura di casa e dalla prigionia di un altro lungo e monotono inverno; di fare una di quelle classiche passeggiate che facevo tanti anni fa, quando c’erano meno pensieri e la mia barba era nera. Ho voglia di vedere le luci del Nevegal, dei lampioni di quelle strade dove ad ogni passo posso trovare un ricordo da ricordare, di guardare i fari delle poche auto che si dirigono verso casa e vivere la quiete di una Belluno che si rilassa in questa tranquilla serata d’inizio primavera. Ho il desiderio di rivedere angoli e cortili e cancelli ancora ammaccati dalle nostre pallonate, e poi le fioriere utilizzate come pali delle porte di quel calcio anarchico e spontaneo. Ho voglia di toccare i tronchi di quegli alberi invecchiati di oltre trent’anni sui cui rami ci sedevamo a riposare e a raccontare e raccontarci durante quegli infiniti pomeriggi di quasi estate. Ho voglia di rivedere muri saltati e reti scavalcate, di risentire sotto i piedi quei pezzi di bitume sbriciolato, di riconoscere gli avvallamenti in cui si creavano pozzanghere da attraversare con la bicicletta. Voglio ammirare la sagoma bianca del campanile del Duomo che si staglia all’orizzonte est, e riascoltare ancora una volta i suoi potenti e cupi rintocchi che ricordavano il tempo di mettere fine ai giochi pomeridiani. Ho voglia di percorrere chilometri d’asfalto e di ricordi, di rivedere i volti e riascoltare le voci di quegli amici inghiottiti dallo scorrere della vita. Desidero cercare scorci e siepi e roulotte parcheggiate, sotto alle quali ci si nascondeva durante quegli interminabili nascondini serali di fine primavera, e poi percorrere la stradina di Salce oggi quasi tutta asfaltata. Voglio camminare lungo la salita che percorrevamo con fatica in bicicletta fino a raggiungere la vecchia casa sulla sinistra, che già al tempo era avvolta da un’aura di mistero. Sono mura ormai cadenti e vestite di rampicanti che silenziose osservano la Valbelluna, sono pietre che ascoltano i rintocchi argentini della campana di Salce che annuncia l’Ave Maria della sera. Posate con sapienza, hanno resistito allo scorrere del tempo per giungere intatte fino a noi. Vestite d’edera e di storia sorvegliano in silenzio quella terra un tempo coltivata a mais; poi non furono più stoppie, ma mura e giardini di eleganti villette, campagna divenuta nel tempo quasi città. Carpini, viole e la stradina sterrata che corre a fianco della ferrovia con quelle rotaie implacabili per nessun dove di gucciniana memoria. Aspettavamo di vedere il treno spuntare all’orizzonte, poi scendevamo sotto il ponte per ascoltare il possente rumore delle ruote di ferro rimbombare potente sotto l’arcata. Sento forte il desiderio di camminare e rivivere questi luoghi teatro di tante avventure giovanili impossibili da dimenticare. Ho voglia di ritrovare quelle mura di pietra vestite di verde d’aprile e poi di fermarmi ad interrogare la casa senza tetto per carpire i suoi ricordi che un pò si intrecciano con i miei, per cercare il suo e il mio passato. Ho voglia di ricordare stasera, respirando l’aria di un’altra nuova primavera.
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