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MEMORIE
AUDIO
Era uno stanco pomeriggio di fine dicembre, e lui era ancora una volta sul monte ad aspettare la sera a pochi passi dal grande salto. Non c’era un filo di neve e il tempo era umido, uggioso, con il cielo completamente coperto da pesanti nuvole dall’aspetto novembrino. Esse stazionavano appena al di sopra delle frazioni alte del paese, nascondendo le cime e sfiorando i tetti di quelle case che, già a quell’ora, iniziavano a mostrare le finestre illuminate. Quel giorno le montagne erano assenti e non le poteva ammirare come accadeva di solito, ed allora lo sguardo puntava verso il basso, verso il paese posto all’incrocio delle valli e dei venti. Osservava e pensava al suo essere lì, in quel luogo dove i suoi avi avevano speso tanta vita e che ora lui stava tentando di mantenere vivo. Quel silenzio di fine anno rendeva vive le loro memorie che non aveva vissuto ma che tante volte aveva sentito narrare; erano i tempi in cui i prati ancora non si erano trasformati in boschi e si potevano sentire le voci delle persone che parlavano aldilà della valle. Guardava il paese là in basso, e lo immaginava al tempo dei suoi avi, quando non c’era ancora il piccolo lago artificiale e mancavano pure le strade che si inerpicano ardite lungo i ripidi versanti delle montagne che si innalzano improvvisamente dal fondovalle. Pensava alle vite vissute da chi abitava in quelle frazioni alte il cui nome, a volte, era pure il cognome di quella gente che viveva aggrappata ai pendii. Gli sembrava quasi di vederli quei bambini di allora che ogni mattina scendevano in paese per recarsi a scuola. Un eterno peregrinare sù e giù lungo quelle mulattiere realizzate con sapienza da quelli che c’erano prima. Erano percorsi sufficientemente diretti, buoni per superare il dislivello in poco tempo, però mai eccessivamente ripidi e stancanti. Qualche scalino di pietra, i muri a secco, le “pause” dove si fermavano a prendere fiato quando il carico sulla schiena era particolarmente pesante. Era così allora, e lo fu fino al termine degli anni ’60 e, per alcuni luoghi, pure un po’ più tardi, al tempo in cui ormai era poca la gente rimasta a vivere lassù dove il sole arriva a mattina inoltrata. Osservava le nuvole opprimenti che sembravano premere i tetti delle silenziose case immerse nei boschi aldilà della valle, e chissà se anche i suoi vecchi, durante qualche pausa durante la fienagione, si recavano sull’orlo del monte ad ammirare la valle e il paese posto all’incrocio delle strade e delle acque. Chissà che suoni avrebbero udito dal pulpito che domina la vallata, forse il rumore di qualche rara e primordiale autovettura che viaggiava a fondovalle, e poi il battere dei martelli che facevano il filo alle falci e forse qualcuno cantare, che a quei tempi la gente ancora cantava. Chissà com’erano certi silenzi d’inverno in quegli anni faticosi, quando il freddo mordeva feroce e la neve era spesso tanta, chissà quante stelle in più si potevano ammirare durante le gelide notti di gennaio. Pensieri, memorie e domande mentre iniziava ad affacciarsi la sera. Poi chiuse il piumino, salutò le montagne assenti e si avvio lungo il sentiero che porta in paese. Lassù sarebbe rimasta la grande stella cometa a vegliare la sua amata terra che si apprestava a vivere una lunga notte d’inverno.
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