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IN VALLE DI SAN LUCANO
AUDIO
“…le smisurate pareti s’alzano dal piano con scatto improvviso, quasi violento. E non basta torcere il collo per vedere dove le sommità si uniscono al cielo. Un mondo di roccia e mughi, di verticalità assoluta e misteriosi borai. Di storie che si perdono nel tempo fra realtà e leggenda…”
Ero arrivato per la prima volta in valle di San Lucano in un pomeriggio di profondo inverno di tanti anni fa, all’ora in cui l’ultimo sole illuminava le sommità delle possenti pareti delle Pale. Avevo guidato piano lungo la strada allora innevata che costeggia il torrente, scorgendo dopo ogni curva un paesaggio per me inedito. A volte mi ero pure fermato a guardare le acque del Tegnas che scorrevano pigre nell’alveo imbiancato, e poi avevo alzato lo sguardo verso l’Agner che in quel pomeriggio si mostrava severo. Con gli occhi avevo percorso il suo infinito spigolo nord che si slanciava verso il cielo che lentamente stava prendendo i colori del tramonto. C’era un gran silenzio di neve lungo la valle e a Col di Prà non c’era nessuna persona in giro. Fumare di qualche camino e lassù le levigate e incombenti pareti della terza e della quarta Pala che si facevano ammirare in tutta la loro selvaggia e possente imponenza. In breve arrivò una precoce sera a chiudere quello spettacolo di verticalità assoluta e all’accendersi delle stelle ero fuori dalla valle dove era un po’ meno inverno. Quel giorno mi ero portato a casa numerose foto che ritraevano smisurate pareti di roccia e scorci di neve, e soprattutto una voglia di tornare ad ascoltare quei silenzi e ad ammirare quella natura potente. Fu qualche tempo dopo che ritornai nella valle, e stavolta era una mattina di fine settembre con le nuvole che nascondevano le montagne. Dopo circa un’ora di cammino quelle nubi si dissolsero e si presentò un cielo puro d’inizio autunno. Un paio d’ore più tardi ero lassù, nel punto esatto dove, durante la notte fra il due e il tre dicembre del 1908, si staccò la frana che provocò ventotto vittime e che cancellò le frazioni di Prà e Lagunaz. Da quella cresta affilata, dove si trova la levigata placca inclinata che testimonia la triste tragedia, osservavo la valle d’Angheraz e lo strapiombo da vertigine che si apriva sotto di me. Immaginavo il fragore provocato dalla roccia che precipitava nell’oscurità di quella lontana notte d’inverno, lo sgomento di quella comunità che in pochi attimi aveva perduto affetti e case. Una storia drammatica che, anche se ormai lontana nel tempo, ricorda agli uomini la difficoltà di vivere queste terre suggestive e talvolta severe. Era di maggio quando ritornai ancora nella valle, e in quel giorno assolato del mese delle rose la sua natura offriva una gioiosa nuova serenità. La cascata di Pont donava un concerto di acque di disgelo e anche l’Agner, in lontananza, appariva meno austero. Le montagne che sovrastano la valle, ormai prossime al risveglio, di lì a poco si sarebbero scrollate di dosso la bianca coperta, e la neve, ora tramutata in acqua gelida e scrosciante, avrebbe percorso i ripidi canaloni rilucendo e cantando una gentile musica di primavera. Sono stati giorni intensi, mai banali e scontati, quelli vissuti ai piedi delle alte pareti delle Pale e dell’Agner. Giorni di nebbie e piogge d’aprile, di primi tenui colori dei boschi d’inizio autunno e di neve ghiacciata di metà inverno vissuti lì, dove scorre il Tegnas. È così, per me, la valle di San Lucano; una magia appartata, quasi nascosta fra le più alte pareti dolomitiche, un autentico incanto di boschi acque strapiombi e leggende agordine.
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