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LA VALANGA DEL MONTE SERVA
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Quell’anno, all’accendersi delle prime luci di Natale, sulle montagne che guardano Belluno era già profondo inverno. A fine novembre i ripidi versanti dei monti erano già ricoperti da una spessa coltre nevosa e poi, nei giorni della festa dell’Immacolata, una seconda potente nevicata aveva caricato le cime di neve come non accadeva da diversi anni ad inizio dicembre. Accadde durante una lunga notte di nuvole e silenzi, mentre la piccola città era immersa nel sonno. Non si seppe mai l’ora precisa in cui si animò la grande valanga del Monte Serva. Gli uomini se ne accorsero al mattino successivo quando, a nuvole diradate, le creste ovest del monte mostrarono nuove ampie macchie di erba ormai dormiente. Qualche centinaio di metri più a valle, lungo i ripidi prati non ancora ricoperti dalla bianca e fredda coperta, una lunga striscia di neve si era inoltrata nel bosco fino a perdersi negli abissi che sprofondano verticali fino a raggiungere le acque del torrente Ardo. Qualcuno disse che erano trascorsi almeno trent’anni dall’ultima volta in cui la massa di neve era scesa così in basso, e di quell’evento e delle conseguenze che aveva creato, ne parlarono pure i giornali. Salii sul Col di Roanza un paio di giorni più tardi, durante un limpido e freddo primo pomeriggio, e dopo una breve camminata raggiunsi il tornante che era stato sepolto dalla neve. In un primo momento non mi meravigliai più di tanto ma poi fu un inedito scorcio di paesaggio ad attirare la mia attenzione. Proseguii per pochi metri sulla sommità di quel mucchio di neve dura come il cemento e qualche secondo più tardi mi si presentò di fronte uno spettacolo affascinante e allo stesso tempo spaventoso. Lì, dove la pendenza del versante si addolciva, la valanga aveva agito come un gigantesco aratro mosso da una forza immane e il suo passaggio aveva scavato la terra formando una sorta di enorme e levigata pista di bob. Guardai in alto, percorrendo con lo sguardo il vallone della Boca del Rosp che diverse volte avevo salito durante la bella stagione. Era lassù, al suo culmine, che si era staccata la grande valanga che poi si era incanalata nel ripido canalone fatto a imbuto. In quel punto la sua forza era aumentata a dismisura e ciò aveva permesso all’enorme massa di neve di continuare la sua corsa lungo il pendio del Serva. C’era il silenzio che sempre segue i disastri, e c’era, di fronte a me, la dimostrazione tangibile di ciò che la natura è capace di esprimere in alcuni frangenti. L’enorme potenza della valanga era narrata da quel terreno sfigurato che fino a pochi giorni prima ospitava un tranquillo bosco di media montagna. Erano neve e terra pressate insieme a formare delle pareti marmoree a quel inedito canale, erano radici di alberi travolti che per la prima volta vedevano la luce del giorno. Poi, nei giorni successivi, scese altra neve che andò a ricoprire il poderoso squarcio che tagliava il fianco della montagna. Per gli uomini era ormai quasi Natale, per le montagne era già profondo inverno.
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