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DOMENICA DI MARZO
AUDIO
“…ascoltava il vento, guardava la valle e attendeva la pioggia; viveva in silenzio quel tempo incerto d’inizio marzo, un tempo di nuvole stanche che accarezzavano l’anima e le cime…”. Fermo sulla soglia della porta della baita, osservava l’ultima chiazza di neve che si arrendeva alla primavera nascente. Era neve giovane, di fine febbraio, che non aveva nemmeno avuto il tempo di ghiacciare. Si era sciolta subito sui prati rivolti a sud, aveva resistito poco più di due settimane lì, dove il debole sole di fine inverno non era ancora riuscito ad arrivare; all’ora del tramonto, quell’ultima neve ormai sfinita, avrebbe terminato la sua agonia e si sarebbe definitivamente consegnata a quel marzo uggioso, che quel giorno sapeva di pioggia leggera e vento umido che chiamava fuoco nella stufa. Era il tempo della solitudine cercata e del vecchio inverno ormai morente, della vista, fra gli alberi ancora spogli, della grande casa aldilà della valle immersa nei boschi del Pelsa. In quegli attimi di intersecarsi silenzioso di due stagioni ascoltava il mormorare della fontana carica di acqua di disgelo. Cantava allegra quell’acqua di neve, con una voce chiara che sfoggiava solamente in marzo e in aprile. Era acqua limpida e fredda quella che sgorgava dalle misteriose viscere del monte, un’acqua che, tanti anni prima, dissetava i falciatori che, ai primi di luglio, da quel pascolo diventato bosco ricavavano circa centodieci fasci di fieno. Era domenica stanca, di tempo che scorreva lento e nuvole che stazionavano sull’orlo delle banche del Pelsa, proprio lì dove le grandi masse di neve erano oramai in bilico e pronte a gettarsi lungo i severi e verticali canaloni che solcano la grande montagna. La pioggia fredda e sottile continuava il suo imperterrito dissetare la terra ormai libera dalla morsa del gelo, mentre un vento umido faceva oscillare le cime dei grandi larici ancora assopiti nel lungo sonno invernale. Chiuse la porta dietro di sé e si lasciò andare alla tentazione di un nuovo fuoco nella stufa. Pochi minuti dopo il fuoco ardeva con vigore e il suo crepitare era una dolce compagnia nella penombra della piccola stanza. Si sedette sulla panca ad ascoltare quel fuoco amico, come aveva fatto tante altre volte d’inverno quando fuori scendeva la neve e c’era ancora più silenzio. Erano attimi preziosi, cercati e trovati, semplici e ricchi di tutto ciò che gli serviva per stare bene. In quei momenti pensava che, in fondo, la serenità stava dentro l’attesa di un caffè mentre fuori marzo recitava la sua parte. Era vento che soffiava potente fra i larici spogli, era qualche goccia di pioggia e un buon calore di legna già vissuto, e questo gli bastava, quel giorno, per sentirsi felice. C’era il vivere lento di una domenica di cielo inquieto, c’era il silenzio della montagna che scacciava la frenesia della vita di tutti gli altri giorni. C’era l’aroma del caffè corretto e fuori i colori stinti dei boschi d’inizio marzo; poi alla sera, quando venne l’ora del suo lasciare i monti e la baita, ritornò ancora una volta l’inverno.
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