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RITORNI DI PRIMAVERA
AUDIO
Quando il tepore della primavera era finalmente entrato nella valle e i faggi si erano vestiti di un verde nuovo, era tempo di riaprire la casa ai piedi del Pelsa. In quel primo pomeriggio di fine aprile la Ritmo correva veloce lungo la Strada Madre deserta, carica del necessario utile per trascorrere un mezzo sabato e una mezza domenica accanto al Biois. Il sole era ancora alto quando si parcheggiava sotto casa e apparivano così lontani quei sabati d’autunno quando, alla stessa ora, il sole era già andato a dormire dietro alla cima di Pape lasciando il paese in una fredda penombra. Scaricavamo i pochi bagagli e poi salivamo gli scalini fino a raggiungere la porta grigia e poi, dopo due giri di chiave, era tempo di dare corrente alla casa. Sù la levetta del contatore e poi un’altra chiave andava ad aprire la porta bianca con i vetri ondulati; un istante appena ed ecco uscire l’inverno che si era annidato fra quelle mura. Sul sagrato della chiesa si respirava l’aria dolce dei giorni di San Marco, dentro casa, invece, la durezza di un freddo e lungo inverno che ora fuggiva andando a perdersi in quel cielo limpido di quasi maggio. Dentro casa il tempo si era fermato a quella domenica d’inizio novembre quando, dopo aver sistemato i fiori sulle tombe, papà aveva chiuso l’acqua ponendo così fine ai nostri sempre più freddi fine settimana agordini. In cucina, le copie del Gazzettino che giacevano su di una sedia, erano le umide testimoni di quel tempo d’autunno ormai lontano; 20 ottobre, 27 ottobre, 3 novembre e poi un lungo inverno senza uomini e fuoco a rendere viva la casa che guarda il campanile della chiesa di Sant’Antonio Abate. Mamma apriva le finestre e la porta che dava sul grande terrazzo, permettendo così alla primavera di entrare a farci compagnia, papà invece scendeva in cantina ad armeggiare con i rubinetti dell’acqua. Pochi minuti più tardi, quell’acqua fresca rumoreggiava allegra nel lavandino del bagno e della cucina, ed era una musica che regalava buonumore e che sanciva l’inizio di un tempo nuovo, ovvero quello che annunciava un’estate ora improvvisamente più vicina. Mamma preparava i letti, io invece uscivo a riscoprire il paese e a ritrovare quei suoni lasciati al tempo dei larici colorati d’oro. Il Biois e il Cordevole cantavano a piena voce mentre qualche raffica di vento freddo ricordava che sulle cime era ancora un po’ inverno. Poi quattro calci al pallone sul campo allora di ghiaia e la campana in lontananza che scandiva l’avvicinarsi dell’ora di cena. Le sere ormai lunghe che ricordavano l’estate apparentemente imminente, il fuoco acceso invece ricordava l’inverno che aveva lasciato da poco la valle. Dopocena, la passeggiata serale con il cane mentre la campana grande suonava l’Ave Maria nella penombra della quasi notte che stava per calare sul paese. Non c’era fretta di rientrare, non era più come a fine ottobre, quando a quell’ora la brina scintillava sul porfido del sagrato e il vento ghiacciava le ossa. C’era calma in quel passeggiare fra i due torrenti, c’era la voglia di riprendere in mano quel tempo interrotto al culmine dell’autunno. Poi, la prima lunga notte di primavera trascorsa in compagnia del perenne scorrere del Biois e la mezza domenica, vissuta immaginando l’arrivo di metà giugno e quel tempo spensierato dei lunghi giorni d’estate.
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