******
SERE D’ESTATE
AUDIO
La sigla del Tg1 era seria e arrivava puntuale alle venti precise, al tempo in cui la luce del sole sfiorava appena la cima del Pelsa. Poi nello schermo del televisore in bianco e nero appariva la figura austera di Paolo Frajese che con la sua voce pacata raccontava le notizie provenienti dall’Italia e dal resto del mondo. C’era la politica, con le vicende quotidiane del governo di pentapartito e l’ennesimo faccia a faccia fra Reagan e Gorbaciov che si incontravano per decidere le sorti del mondo. E poi Solidarnosc e la guerra fra Iran e Irak, Alì Agcà che da poco aveva sparato al Papa, il Mostro di Firenze e qualche altro delitto estivo. Le vicende oscure di Mamma Ebe, le inchieste sulla strage di Ustica e attentati vari, Demetrio Volcic da Mosca e infine lo sport. Noi, alle venti della sera, eravamo quasi sempre lì, di fronte a quella finestra elettronica poggiata sopra il mobile situato nell’angolo della stua, a seguire le vicende del mondo che ci venivano proposte in bianco e nero. Una sorta di rito serale che il nonno seguiva solamente in audio dalla camera da letto nella quale di ritirava appena dopo cena. A corredo di qualche notizia che probabilmente aveva catturato la sua attenzione, a volte usciva un “aaahh” espresso con amarezza e un disappunto che ancora non riuscivo ad interpretare. Quel commento amaro era sempre inerente a notizie che trattavano di politiche internazionali e guerre in atto, e mi accorgevo che queste notizie le seguiva sempre con particolare interesse; probabilmente era la parola guerra a destare la sua attenzione, erano le cronache di quei conflitti combattuti in giro per il mondo nei primi anni ‘80 a smuovere tristi ricordi. A volte, mentre il giorno sfumava insieme al telegiornale, iniziava una sorta di monologo che narrava le vicende che aveva vissuto durante la “sua” guerra, quella che l’aveva strappato dal suo paese e dai suoi affetti e che l’aveva condotto a combattere malvolentieri nel fango della Grecia e dell’Albania. In quei racconti c’erano la Vojussa il ponte di Perati e i pidocchi, la mitraglia Breda e i cespugli spinosi, e poi la Julia decimata, il pantano, i nomi di alcuni compagni. Non c’era enfasi in quel raccontare, non c’era il desiderio di mostrarsi eroe; c’era invece il rammarico di avere speso gli anni migliori della gioventù a combattere in una guerra che non lo interessava e che aveva prodotto solamente fame e dolore. Era un narrare scarno ed essenziale, privo della retorica propria dei racconti di guerra, era un raccontare che la mia giovane età impediva di comprendere per intero; erano minuti in cui la grande storia si intrecciava con la storia della vita di un uomo di montagna che tanti anni prima era riuscito a fare ritorno a casa. Poi questo narrare pian piano si spegneva mentre noi ci apprestavamo a svolgere le ultime attività del giorno; c’era l’orto da bagnare e poi magari una breve passeggiata lungo la provinciale e le successive chiacchiere con i vicini che come noi attendevano lo spegnersi del giorno e l’accendersi delle stelle. E chissà quali erano i pensieri suoi pensieri che precedevano il sonno in quei momenti in cui la luce calava e la notte si stava prendendo i boschi del Pelsa. Chissà se in quegli attimi di silenzio d’estate ricordava le gioie e i dolori provati durante la sua vita faticosa, chissà se si rivedeva ancora al fronte sui monti della Grecia e dell’Albania. Poi quelle lunghe sere si tramutavano in calme notti di luglio e anche per me arrivava il tempo di riposare nella stanza dai muri rosa. Sarebbe stato un sonno tranquillo e poco prima dell’alba avrei ascoltato i passi lenti di quell’uomo che nella vita aveva lavorato, combattuto e poi ancora lavorato e che ora, al calar della sera, ricordava…
*********