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EL CASELO DE BOGO
AUDIO
L’antica meridiana scandisce un tempo quieto e prezioso, un tempo ricco di antiche memorie e di profumo di legno impregnato di fatiche e storia. Sono stipiti in pietra che osservano lo Spiz de Medodì, sono silenzi che narrano esistenze vissute seguendo il ritmo delle stagioni; sono fiori alle finestre che raccontano di gente aggrappata alle proprie radici e alla propria montagna. Bogo, frazione di Cencenighe Agordino situata a 1197 metri di quota. Un pugno di case che al mattino presto vedono spuntare il sole sopra il Pelsa, alcuni fienili, una fontana in pietra dei Mesaroz ornata di fiori freschi, un’antica meridiana sei abitanti e silenzi importanti. Eravamo saliti lassù per cercare il passato in quel primo pomeriggio di un sabato di fine primavera che stentava a trasformarsi in estate. Una breve passeggiata in salita e poi un caffè in compagnia di chi questa montagna la sa curare e raccontare e poi due giri di chiave, che andavano ad aprire una porta dietro alla quale avremmo trovato un tempo diverso ma in fondo nemmeno così remoto. Siamo entrati con rispetto nel caselo di Bogo, varcando una soglia aldilà della quale regnava un silenzio che sapeva di antico. Dietro quell’uscio spalancato si celano ricordi di lavoro, di latte e di fuoco, di forme di formaggio che riposavano su quegli scaffali ora storti e consunti. Fra le mura annerite del caselo sono presenti pochi oggetti che testimoniano questa importante attività, praticata in tempi in cui il formaggio e il burro erano fondamentali per il sostentamento di questa gente di montagna. Alcuni barattoli di metallo, il termometro, i libretti con riportati i conferimenti, e poi quei registri vecchi di oltre un secolo, compilati in modo minuzioso e quasi artistico. Mentre sfogliavamo quei fogli preziosi immaginavo lo scorrere dei pennini su quella carta sottile illuminata dalla luce fioca di una piccola lampadina, i numeri scanditi ad alta voce dopo le pesate mentre fuori regnava il freddo di certe mattine d’inverno. Erano lettere e numeri scritti con grazia da quelle mani forti abituate a compiere lavori faticosi, erano nomi e date che raccontavano di uomini in stalla quando le stelle brillavano ancora nel cielo. All’interno del caselo, il tempo sembrava essersi fermato all’epoca neanche troppo lontana in cui Bogo non era raggiungibile dagli automezzi e il recarsi a piedi in paese e fare ritorno, impegnava una mattina intera. Appeso al muro, un calendario recava impresso l’anno 1985; fu all’incirca a quel tempo che l’attività del caselo chiuse i battenti. Si spense quel vivere così diverso da quello odierno, un vivere che seguiva il ritmo delle stagioni, un vivere scandito dal rumore metallico dei candoi dal lat, dal muggire delle vacche e dal frusciare del fieno nelle carpie. Poi il camino del caselo smise di fumare, i prati iniziarono a tramutarsi in bosco e molti abitanti scesero a valle; rimasero in pochi lassù, a vivere quel tempo indicato dall’antica meridiana. Al termine della visita abbiamo richiuso la porta di quel importante luogo di lavoro e ricordi da conservare e poi abbiamo ricordato quelle vite mentre sopra la Malga Ambrusogn si addensavano nuvole da temporale. Lassù battevano fulmini cattivi, di quelli capaci di spaccare in due un larice d’alta quota e per noi era arrivato il momento di ritornare nel mondo di oggi, lasciando quel tempo quieto e quel dolce mormorare d’acqua di fontana.
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