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PENSIERI DI FINE LUGLIO
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Non te ne eri nemmeno accorto che un altro mese di luglio stava per terminare. Avevi giocato urlato e saltato, e poi corso e sudato e camminato lungo le strade e le burele del paese situato piedi del Pelsa, e nel frattempo le sere si erano accorciate e adesso, al tempo della campana che batteva nove rintocchi, faticavi a vedere il pallone che rotolava sulla ghiaia del campo da calcio. Lo credevi infinito quel tempo spensierato di piena estate, e invece ora una sottile malinconia ti prendeva quando le sere sempre più precoci scendevano sulla valle. Ora che la stagione calda aveva raggiunto l’apice c’erano confusione e traffico d’auto, c’erano villeggianti vestiti con le camicie a quadri che facevano molto “montagna” e le seconde case avevano gli scuri aperti. Stava per avere inizio il tempo delle fabbriche chiuse e dei portapacchi ricolmi posizionati sui tetti delle auto, delle feste da ballo in pineta e del via vai continuo di auto e moto che si spostavano da una valle all’altra. E tu, in quei giorni di fermento, iniziavi a percepire che quel desiderato tempo d’estate incominciava a fuggire. Accadeva sempre a fine mese, quando ormai mancavano poche ore al tuo compleanno che cade nel giorno che apre agosto. Il compleanno rappresentava una sorta di confine, aldilà del quale trovavi ogni volta un tempo diverso. Era sempre in quel preciso momento che si materializzavano i pensieri per i compiti ancora da iniziare, e quelle mezze ore trascorse a completare frasi e risolvere problemi di aritmetica, erano il tributo da pagare dopo un mese e mezzo di totale spensieratezza. Guardavi il calendario, pensando che in un baleno sarebbe arrivato pure il Ferragosto con le sue cinque campane che avrebbero suonato a festa mentre accompagnavano la Madonna portata in processione. A quel tempo, le sere sarebbero state buone soltanto per chiacchierare fuori di casa con una felpa addosso, e poi, la domenica successiva, le valli si sarebbero svuotate e avrebbe avuto inizio quel tempo triste dell’attesa, del contare i pochi giorni che mancavano al rientro nella piccola città. Una quindicina di giornate che sarebbero sfumate in velocità, con qualche temporale nel mezzo a evocare l’autunno che ora appariva più vicino. A volte lo immaginavi quell’ autunno che sarebbe stato, e ti prendeva una dolce serenità mista ad una malinconia buona. Quel tempo che amavi l’avresti vissuto solamente per mezzo sabato e l’intera domenica, e ad ogni ritorno al paese avresti trovato la casa sempre più fredda e i larici sempre più colorati d’oro. Erano pensieri che sapevano di fuoco nella cucina economica e brina che avrebbe imbiancato i tetti e la strada, ed erano i pensieri che addolcivano la malinconia che ti prendeva mentre osservavi l’estate che pian piano iniziava il suo lento declino. Attimi in cui ti fermavi a pensare a quell’infinito scorrere del tempo e delle stagioni, e poi ripartivi a vivere intensamente quei giorni carichi di rumore e di auto, di feste e di angurie galleggianti nella vasca di plastica blu.
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