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TEMPORALE D’ESTATE
AUDIO
Aveva imparato dai vecchi a leggere quel lembo di cielo racchiuso fra le sue montagne. Tante volte li aveva ascoltati mentre narravano quel vagare di nuvole che sfioravano le cime. Loro sapevano interpretarle quelle nubi che poi scendevano a mezza costa fino a raggiungere la quota degli ultimi faggi. Erano nuvole umide e malinconiche, cariche di una pioggia annunciata anche dai rintocchi soffocati della campana che annunciava il mezzogiorno. Tante volte si era fermato sull’orlo del precipizio ad ascoltare il sibilare del vento e ad ammirare il subbuglio di quei cieli d’estate che divenivano improvvisamente inquieti. Aveva imparato che bastava una mezz’ora appena per passare dall’estate ad un momentaneo profondo autunno, ed era proprio il vento che soffiava sulle cime ad annunciare questo cambiamento repentino del tempo. Scendeva a raffiche da nord scuotendo le cime dei larici e facendo cantare le foglie dei faggi mentre il cielo diveniva plumbeo. Una penombra nuova scendeva sulla valle ed era in quegli attimi che arrivava il primo potente tuono. Era fragore improvviso, preceduto da un lampo azzurro che per un istante illuminava il cielo rabbuiato. Era un colpo potente, uno scoppio cupo che rimbalzava sull’alta parete del Pelsa. Le montagne amplificavano quel fragore di tuoni annunciati dai fulmini che a volte scaricavano la loro furia incontrollata su qualche larice d’alta quota, e quello era il tempo opportuno per ritirarsi nella quiete della baita nel bosco. Aveva imparato ad aspettare sulla soglia quel breve momento di calma effimera che precedeva l’arrivo della pioggia. Erano attimi in cui il bosco e le montagne intorno sembravano prepararsi a quello scrosciare prepotente che sarebbe stato di lì a poco. Erano istanti in cui uomini e natura vivevano un tempo in bilico e poi ecco lo scatenarsi improvviso di quella pioggia estiva. Nebbie mulinavano a fondovalle mentre la pioggia faceva risuonare la lamiera del tetto e lì fuori, nel bosco, i rami gocciolanti dei larici e degli abeti muovevano verso il basso spinti da quell’impeto d’acqua. A volte il cielo inscuriva fino a divenire quasi nero e le montagne erano nascoste da quella pesante coltre di nuvole e nebbia spinta dalle folate del vento che ora soffiava cattivo. Dall’interno della baita seguiva questo scatenarsi degli elementi che sfogavano con rabbia la loro possente forza che talvolta pareva quasi incontrollata. Lunghi minuti di furia selvaggia, con gli alberi che piegavano e la pioggia che a tratti scendeva di traverso e la temperatura che si abbassava divenendo improvvisamente autunnale. Cielo nero, folate di vento umido e poi, lassù in alto sopra le cime a nord, il primo squarcio celeste. Di colpo, la pioggia calava di intensità e nel giro di pochi minuti addirittura cessava completamente mentre le nuvole scure correvano verso sud. Ritornava l’azzurro in quel lembo di cielo racchiuso fra le sue montagne e quello scampolo di autunno appena vissuto si dissolveva assieme alla nebbiolina che saliva dai prati bagnati. Era ritornata la quiete, era ritornata l’estate.