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LA CAMPANA DI SAN GERVASIO
AUDIO
La campana di San Gervasio ha un timbro argentino e leggero, e suona con una cadenza veloce nell’alba lattiginosa dei giorni d’agosto. Alle sette del mattino annuncia l’inizio del nuovo giorno ai pochi automobilisti assonnati e agli autobus vuoti e svogliati che percorrono pigramente Viale Europa. Il risveglio agostano della piccola città è un tempo lento e rilassato che ha dentro rumori ovattati di traffico scarso e suoni di campane delle chiese del centro e della periferia. Un tempo di finestre aperte per far entrare in casa l’aria fresca del primo mattino, di donne che annaffiano i fiori che ornano terrazzi e davanzali e di anziani che escono in passeggiata prima che il sole scavalchi le montagne dell’Alpago. È in questi momenti tranquilli che la campana di quella chiesa dai muri giallini prende vita. Sette rintocchi, un breve attimo di pausa e poi un solo colpo di slancio, seguito da un paio di minuti di suono incalzante e un pò malinconico. Quella di San Gervasio un tempo era chiesa di campagna, situata nell’immediata periferia di una Belluno pressoché circoscritta nel solo centro storico. Strade di ghiaia, prati e campi e una chiesa dall’aspetto austero che sorgeva in quell’ambiente rurale che poi sarebbe drasticamente cambiato. A quel tempo ormai lontano, il suono della campana non era sovrastato dal rumore del traffico odierno e si poteva udire da lontano. L’ascoltavano i contadini già chini dall’alba sulla terra dei campi, la udivano i benestanti che si affacciavano alle finestre degli eleganti palazzi del centro. Poi, alla metà del secolo scorso, i dintorni della chiesa iniziarono a mutare e la campana si ritrovò a spargere i suoi rintocchi fra nuovi capannoni e condomini. Il suo canto divenne triste, quasi un lamento sovrastato dal rumore di auto e camion che iniziarono a percorrere la nuova strada che sfiora la chiesa. In pochi anni divenne campana di città la cui musica era accompagnata dallo sferragliare dei treni che correvano su quelle rotaie che conducono verso la pianura. Solamente ad agosto, al tempo delle fabbriche chiuse e della città svuotata, la campana ritorna protagonista in quei mattini infrasettimanali ricchi di una quiete preziosa e ormai rara. In quel paio di minuti, la sua voce argentina sembra voler raccontare un’epoca lontana ricca di silenzi che oggi non conosciamo più. Alla sera, al tempo dell’Ave Maria delle venti, soprattutto d’autunno il suo suonare si fa struggente mentre la città si abbandona alla notte nascente. In quelle sere c’è il silenzio giusto per poterla ascoltare e la leggera brezza d’ottobre raccoglie quel suono triste e lo infila nell’anima di chi vive nelle case e nei palazzi della prima periferia ovest della piccola città. In quella quiete di stelle appena accese la campana rivela la sua anima malinconica mentre la città spegne lentamente il suo vivere. Essa evoca tempi passati mentre scandisce il chiudere di giorni sempre più freschi e brevi, racconta con nostalgia quel vivere più lento e silenzioso che non ritornerà mai più.
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