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IN MONTAGNA
AUDIO
Ma cosa ne sapevo, allora, di che cosa avrei trovato su quella montagna quel giorno ammantata di nubi; poco o nulla. Ne conoscevo il nome, sapevo che essa indicava il sud al paese situato all’incrocio delle valli e dei venti. Sapevo che avrei fatto un po’ di fatica a risalirne i ripidi versanti, che forse avremmo preso pioggia e che magari al mattino saremmo rimasti a letto causa meteo troppo avverso. A tutto ciò pensavo durante quel tempo notturno quasi insonne, scandito dai rintocchi della campana che annunciava le ore e le mezze ore. L’alba, ci presentò un cielo basso color piombo mentre ci accingevamo a superare la frazione dove dimorano un quarto delle mie radici. Il bosco era carico di umidità della notte e qualche goccia di pioggia ogni tanto andava a poggiarsi sulle foglie dei faggi e dei frassini. Tre respiri accelerati, poche parole e folate di vento umido mentre nasceva un giorno stanco di metà agosto. Qualche breve dialogo a rompere quel silenzio che sapeva di pioggia in bilico, e poi la montagna che in quegli attimi sembrava voler insegnare qualcosa a me, giovane quasi neofita di camminate e cime. Silenzi, felci bagnate, rami gocciolanti e nomi di canaloni e costoni illuminati dal lieve chiarore di quell’alba grigia e stentata. Mentre il giorno completava il suo nascere imparavo a sincronizzare i passi con il respiro, ad ascoltare il battere accelerato del cuore e a prendermi il tempo necessario per ammirare un larice centenario che si slanciava incontro a quel cielo cupo. Dopo circa un paio d’ore il bosco si aprì all’improvviso e apparve la vecchia malga abbandonata. Erano prati che si estendevano fino all’ampia forcella che chiudeva l’orizzonte ad ovest, erano vecchie mura che raccontavano vite faticose vissute lassù dove il silenzio era profondo. Lasciammo la malga e ci inoltrammo in quel bosco di alta quota che si faceva sempre più rado e poi iniziammo a salire lungo un ripido vallone fino ad incontrarne il suo culmine. Lassù trovammo nuvole nuove e severe che risalivano dai profondi borai. Erano nebbie quasi solide, che vorticavano velocemente mentre arrampicavano lungo le aggettanti pareti che sprofondano in quegli inferi misteriosi. Lassù, in quei momenti, la montagna sembrava chiedere silenzio e rispetto mentre stavamo per iniziare l’ultima parte di percorso che ci avrebbe condotti al bivacco. Ora i passi si erano fatti prudenti e le parole erano rade e quasi si perdevano in quel mare di nuvole che assorbivano dialoghi e pensieri. Il bivacco rosso si materializzò all’improvviso nella nebbia pesante che stazionava immobile sul pianoro. Il nostro camminare in salita era terminato, la nostra méta era stata raggiunta, e io avevo imparato che per arrivare in cima, occorre mettere un piede dietro l’altro, con costanza calma e sapienza. I grandi panorami che avrei ammirato tempo dopo, quel giorno erano assenti; l’Agner, il Civetta, la Moiazza e il Framont erano stati momentaneamente inghiottiti dalle quelle potenti nuvole d’agosto. Poco importava, ero semplicemente felice di essere lassù dove c’era un bivacco colorato di rosso, dove potevo ammirare delle splendide salamandre gialle e nere e dove avevo sfiorato le nuvole e trovato quella passione per la montagna che mi avrebbe accompagnato per sempre.
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