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LORO LASSU’
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Alla metà di settembre la vita aveva ripreso il proprio scorrere abituale. Era ritornato il tempo della scuola e del vivere nella piccola città, era ritornato ancora una volta quel tempo delle valli più vuote e dell’autunno imminente. Erano giorni scanditi dalle lezioni e dai giochi pomeridiani, aspettando quel sabato dopo pranzo quando avremmo fatto ritorno ai piedi del Pelsa per vivere una notte accompagnata dal canto del Biois. Giorni lunghi trascorsi fra compiti e partite di calcio giocate nei cortili, e loro lassù chissà come vivevano quel tempo silenzioso. C’eravamo fatti compagnia lungo tutta l’estate, poi io ero partito e loro erano rimasti di fronte alla grande montagna ad attendere un altro autunno e poi noi, che alla domenica saremmo saliti a trovarli. Chissà come trascorrevano quel tempo lento scandito dall’andare e venire della corriera lungo la provinciale, chissà come le vivevano quelle albe di nebbia leggera che si alzava dai prati umidi. Ora, al tempo dell’autunno che colorava i boschi e appesantiva la vita, l’orario della sveglia non era cambiato, era ancora lo stesso di quando c’era la vacca da mungere quando nel cielo brillavano ancora le stelle. Il profumo del caffè, il chiarore giallino della lampadina da 30 watt, il silenzio di quelle ore di un nuovo giorno che sembrava faticare a nascere. Chissà a cosa pensavano durante quei momenti che immaginavo eterni, forse alla legna appena finita di accatastare, al loro passato e all’inverno che si sarebbe presentato alla metà di novembre. Ora che gli anni si facevano sentire e rendevano le schiene più curve e le andature sempre più sghembe, avevano molto tempo per ricordare quella loro vita semplice e allo stesso tempo complicata. Ora che il campo era a riposo e non c’erano più gli animali da accudire e l’inverno era stato preparato, sarebbero rimaste le piccole incombenze quotidiane a riempire quei giorni che andavano sempre più accorciandosi. C’era la spesa a Cencenighe una volta a settimana, e se il tempo permetteva sarebbero scesi a piedi, un po’ per risparmiare sul biglietto della corriera, e un pò per ripercorre lentamente quei passi un tempo molto più veloci. Avrebbero camminato piano, accompagnati dal frusciare delle foglie dei faggi che iniziavano ad arrossire, avrebbero ricordato la loro gioventù faticosa vissuta quando le falci arrivavano a lambire la base dell’alta parete del Pelsa. Poi lo zaino riempito con il pane e le altre poche cose utili al loro vivere semplice e il rientro in corriera, che avevano camminato abbastanza nella loro vita e anche per loro era giunto il tempo di addolcire un po’ le fatiche del vivere. Alle sei della sera, appena iniziato l’imbrunire, avrei acceso la TV per guardare i cartoni animati, loro lassù, invece, sarebbero usciti a togliere il lungo bastone che teneva aperti gli scuri e poi avrebbero messo la pentola blu sopra il fornello. Il soffiare monotono del gas, la condensa sui vetri, le isobare e i mari calmi o poco mossi delle previsioni del tempo trasmesse dalla TV in bianco e nero. Forse anche loro, come me, avrebbero cenato con una minestra fumante che chiamava autunno, e poi, al termine del Tg1, si sarebbero ritirati nella loro camera da letto. Mentre preparavo lo zaino di scuola loro sarebbero stati già immersi in un lungo sonno accompagnato dal canto cupo del Rù da Ghisel; e chissà, forse l’alba del giorno dopo avrebbe presentato loro la prima neve di settembre ad imbiancare le cime.
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