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SOLITUDINI
AUDIO
All’alba di quella domenica aveva faticato non poco per accendere il fuoco nella cucina economica. Lassù alla baita aveva trovato la legna inumidita dalle insistenti piogge d’ottobre e quel fumo bianco, stentato e incerto, era uscito lentamente dal camino per poi perdersi nel grigiore di quelle pesanti nuvole d’autunno. Nel bosco regnava il silenzio dei giorni di pioggia a sprazzi e ad ogni soffio di vento umido, le foglie stanche dei faggi lasciavano per sempre i loro rami per poi andare a morire sull’erba fradicia. Un giorno grigio appena nato, i boschi color ruggine e tutte le solitudini del profondo autunno che regnava nella valle; era questo il tempo che aveva sognato e desiderato per molti mesi, e adesso finalmente lo stava vivendo assaporandone ogni essenza. Osservava i larici indecisi che apparivano dubbiosi sul cambiarsi d’abito, sul passare dal verde brillante al giallo oro, guardava gli abeti che invece non sembravano porsi particolari domande. Per loro non cambiava granché, sarebbero rimasti vestiti del loro verde cupo e temevano solamente la grande neve, magari bagnata, buona per spezzarne i rami o addirittura per farli schiantare tristemente al suolo, come accadeva frequentemente durante certi inverni nevosi. Quando il fuoco prese vigore uscì dalla baita e trovò un tempo gocciolante e silente. Salì per pochi passi il sentiero e poi si fermò sul pulpito dal quale poteva ammirare l’intera valle. In quegli attimi di fine ottobre le nuvole avevano momentaneamente abbandonato le cime e l’alta parete del Pelsa si presentava bagnata e scura. Sotto alla possente muraglia rocciosa il bosco mostrava le tinte rossastre dei faggi e più in basso ancora, le acque dei due torrenti che si uniscono in matrimonio prima di entrare nel piccolo lago, mostravano il loro carattere quasi novembrino. Quella voce grave di acque inquiete saliva fin lassù, oltre trecento metri più in alto, e raccontava di quell’autunno umido e uggioso, carico di pioggia che gonfiava i pisandoi delle Pale. All’orizzonte sud, quelle acque d’ottobre che uscivano dalle viscere della montagna, si gettavano a capofitto lungo gli ombrosi e verticali canaloni fino a raggiungere le nervose acque del Cordevole. Era tempo di pioggia incombente e solitudini cercate, di un fuoco amico che teneva compagnia e di un caffè bollente che profumava quella piccola stanza carica di silenzi che lo facevano sentire in sintonia con la montagna autunnale. Un’intera giornata priva di parole da pronunciare e ascoltare, solamente il canto malinconico di quella pioggia che scendeva a sprazzi e il crepitare secco della legna di larice che bruciava nella stufa ora rovente. Un tempo quieto, necessario, che sapeva di sottobosco bagnato e funghi, un tempo di nubi che chiamavano quel novembre ormai imminente. Poi, in quegli attimi di fuoco ormai morente e di ombre della sera che iniziavano a calare sulla valle, sentì dei passi leggeri che avanzavano sul tappeto di foglie di faggio. Una femmina di cervo apparve da dietro gli alberi e avanzò con il suo incedere elegante fino a raggiungere la radura antistante la baita. Lì si fermò e iniziò a brucare quell’erba stanca pronta a farsi coprire dalla prima neve. Era tranquilla, il suo era un muoversi rilassato. Lui scostò la tenda e lei si accorse subito della sua presenza. Si guardarono a lungo, entrambi senza muoversi, poi dopo alcuni minuti la femmina di cervo prese lentamente la via del bosco ormai immerso nella quasi notte. Terminò così la solitudine vissuta durante quella giornata di nuvole e silenzi d’autunno; al suo ritorno avrebbe incontrato l’anima malinconica di novembre.
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