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GIORNI D’AUTUNNO
AUDIO
Quelle lancette d’orologio, che all’inizio dell’ultima domenica d’ottobre si spostano indietro di un’ora, annunciano l’arrivo del profondo autunno. Quella particolare domenica vede un’alba in anticipo, e alla sera la campana grande che per la prima volta suona l’Ave Maria alle diciannove; a quel tempo la notte è scesa sui paesi da oltre un’ora ed è quasi terminato il decimo mese, quello delle mele e del mosto. Si presenta il tempo malinconico dei Sant e dei Mort, quello dei cimiteri tirati a lucido, delle foglie dei faggi che volteggiano nell’aria, dei larici che vanno ingiallendo e forse della prima brina sui prati. Durante quella domenica mattina di fine ottobre guardavo dalla finestra mentre attendevo il suono delle tre campane che annunciavano la Messa, osservavo l’orizzonte sud ritrovando quell’ atmosfera quieta di un tempo che fu. Erano attimi struggenti che sapevano di allora, di quando c’eravamo ancora tutti e dai Santi si iniziava a respirare un’aria di quasi inverno. A quei tempi, la brina che al mattino ricopriva le auto l’asfalto e i tetti, era certezza; bianco di brosa e a volte azzurro limpido del cielo, giallo dei larici e rossiccio dei faggi, erano questi i colori che l’autunno presentava a me, bambino intirizzito che osservava dalla finestra mentre attendeva l’ardere del fuoco nella cucina economica. Alle dieci, il suono potente delle campane rompeva per quattro minuti la quiete solenne di quella mattina di persone che si recavano al cimitero in riva al Cordevole, dove il sole sarebbe arrivato ad illuminare le tombe solamente a mattino inoltrato. Alle dieci e mezza erano cappotti pesanti che entravano in chiesa e camini che fumavano all’unisono, era la passeggiata con il cane lungo quelle strade candide di gelida brina. Qualche volta, invece, quel tempo di metà autunno chiamava neve. Era cielo grigio e severo come il giorno dei Morti, era vento che sapeva entrare nelle ossa e spegnere i lumini posati sulle lapidi rinnovate. In quei giorni uggiosi, freddi e umidi, l’autunno sembrava voler cedere momentaneamente il passo al giovane inverno che già bussava alla porta della valle. Erano nuvole che scendevano fino a lambire i tetti delle case delle frazioni alte, era la prima neve che imbiancava il paese situato all’incrocio delle strade e delle acque. Così, un’alba stanca di quei primi giorni del mese triste, avrebbe presentato agli uomini il primo sussulto di un inverno che, di lì a qualche settimana, avrebbe spogliato i larici e messo definitivamente a riposo la terra. Era scesa la prima neve a bassa quota e si era poggiata sulle foglie dei faggi ancora aggrappate ai loro rami, aveva piegato le fronde sempreverdi degli abeti ed era entrata nelle vite di quegli uomini di montagna che ora accendevano le stufe prima del sorgere del sole. Quelle lancette d’orologio scivolate indietro di un’ora chiamavano attimi già vissuti, ricordavano voci e visi che non ci sono più e riportavano a quel tempo quieto e semplice di allora, di quando dai Santi si iniziavano ad ascoltare i primi vagiti della stagione dei freddi silenzi.
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