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LEGNA E RICORDI
AUDIO
Un vento teso e freddo sferzava la valle in quello stanco e grigio pomeriggio dell’Immacolata. Nuvole che stazionavano sopra le cime, boschi addormentati e tempo da neve e ricordi lì, dove fumavano i camini e potente era il silenzio d’inizio dicembre. Si era fermato a pochi passi da dove, un tempo, la fontana cantava a bassa voce la sua musica d’acqua. Aveva guardato a lungo le montagne che si stavano preparando ad assistere ad un freddo tramonto, aveva socchiuso gli occhi quando una forte raffica di vento aveva alzato una nuvola di aghi ingialliti dei larici. Stava lì, preda del vento e dei ricordi, ad osservare la grande casa bianca di Colaz aldilà della valle. L’inverno aveva spogliato i faggi e fatto ricomparire la casa sotto il cui tetto, un tempo, era collocata quella semplice lampadina che di notte diventava la Stella del Pelsa. Dopo aver sceso la scalinata aveva impugnato la grossa chiave del fienile. La teneva fra l’indice e il medio, come aveva visto fare da suo nonno che quel fienile, quasi ottant’anni prima, l’aveva costruito con le proprie mani. Due giri di chiave e poi l’approdo nella legnaia, al riparo dal vento. La legna che gli occorreva stava lì di fronte a lui, accatastata alla rinfusa sotto le fascine legate col il filo di ferro. Le spostò per farsi spazio mentre l’ombra risaliva velocemente la parete del Pelsa e il vento muoveva le cime dei larici addormentati. La legna di faggio, quella che cercava, stava in basso, ricoperta da altra legna di larice mista ad abete e frassino. All’aria ma lontana dal sole, si era conservata perfettamente e quei grossi pezzi, dopo circa trentacinque anni, avevano ancora il loro peso originale. Li aveva soppesati quei pezzi di legna di faggio, e ricordava quando, da ragazzino, aveva aiutato i nonni ad immagazzinarli in quella stessa legnaia nella quale li aveva ritrovati dopo oltre tre decenni. A quel tempo, aveva caricato la carriola e poi l’aveva spinta fino davanti alla porta della stalla, e poi la legna era stata caricata nella gerla e depositata al coperto. I nonni, quella legna buona l’avevano lasciata stagionare con l’intenzione di utilizzarla durante i gelidi giorni di gennaio. Era rimasta lì par medesina, come dicevano loro, per quando il grande freddo sarebbe calato sulla valle ghiacciando uomini e montagne. Per loro, però, non ci furono molti gennaio da vivere. Se ne andarono a riposare per sempre sotto alla chiesa di Celat a quattro anni di distanza l’uno dall’altra. Il camino della casa dagli scuri celesti aveva smesso per sempre di fumare e quella legna costata fatica era rimasta a riposare nella legnera. Osservava quei pesanti pezzi di legna grigia e pensava che potevano essere quelli ricavati dal grande faggio delle Martinazze, quello che aveva abbattuto papà e che poi avevano fatto a pezzi e trasportato a casa in un caldo lunedì dell’Angelo di quasi fine anni ‘80. Oppure potevano far parte di quel legname raccolto sul monte durante quei roventi giorni d’estate durante i quali l’Husqvarna urlava e i pantaloni di papà erano carichi di segatura. Aveva guardato la cesta ormai piena e sul suo viso si era aperto un malinconico sorriso. In quella semplice cesta di vimini erano contenute le sue piccole fatiche di bambino e quelle grandi di chi c’era stato prima di lui. Pensò ai giri che fa la vita, al destino e al fatto che ora sarebbe toccato a lui scaldarsi con il calore potente sprigionato da quella legna che sembrava averlo atteso per tanti anni. Poi il tramonto arrivò improvviso ed era tempo di ritornare accanto al Biois dove lo attendevano le braci del fuoco morente e i freddi silenzi di un nuovo inverno.
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