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GIORNI LONTANI
AUDIO
-Te li ricordi, Paolo, quei giorni che hai vissuto di fronte al Pelsa nei primi anni ‘80, avevi ancora i capelli biondi…
-Certo che li ricordo quei giorni lontani, in particolare una serie di queste giornate vissute lassù dove regna il silenzio. Doveva essere l’inizio della primavera perché rammento quel cielo colorato del classico azzurro chiaro di marzo e le macchie di neve stanca sui prati in ombra. Non ricordo precisamente quanto durò quella permanenza di fine inverno a San Tomaso, lassù il tempo che si viveva era un tempo dilatato e un giorno sembrava durare una settimana e una settimana un anno. Furono giorni tranquilli, vissuti in compagnia dei nonni e dei primi segni della nuova primavera e degli ultimi colpi di coda dell’inverno.
-E come trascorrevi quelle giornate di fine inverno…
-Le trascorrevo circondato da una grande pace. Era un vivere decisamente diverso da quello attuale, così frenetico e carico di tecnologia. Era un vivere che necessitava di una buona fantasia che aiutava a rendere interessanti quelle lunghe giornate. La televisione si guardava solamente verso sera. C’erano le previsioni del tempo, l’Almanacco del Giorno Dopo e poi l’irrinunciabile TG1 delle venti, al termine del quale si dichiarava conclusa la giornata. Il resto di quel tempo che passava lentamente lo trascorrevo gironzolando davanti a casa, immerso in pensieri di un bambino che nel frattempo ammirava il muovere lento dei larici ancora spogli. Imparavo a vivere quei silenzi e quella natura, e poi la vita di quelle persone che avevano vissuto fatiche che avevano segnato i loro corpi. Poi, alla sera, quando era arrivato il tempo del riposo precoce, salivo sul fornel a godere di quel calore di fine inverno. Al mattino assistevo con curiosità a quelle ultime accensioni ormai non più giornaliere. Se il clima era freddo il nonno spingeva le fascine all’interno della vorace bocca del fornel, se al contrario quel clima bizzarro di marzo era più gentile, si poteva risparmiare un po’ di legna che sarebbe stata buona per l’autunno successivo. Un paio di volte accadde di rompere per mezza mattina quella routine che sembrava inscalfibile. Fu quando partii a piedi in compagnia della nonna in direzione Cencenighe. Forse c’era da comprare qualcosa da mangiare, oppure recarsi in farmacia, solitamente erano questi i motivi di quel muovere che a me piaceva. Eravamo partiti presto, quando la valle era ancora in ombra e l’asfalto della provinciale era imbiancato dalla brina della notte. Il passo anziano ma ancora leggero della nonna aiutava il cammino di un bambino che stava imparando l’arte di camminare in salita e in discesa. Non c’era alcuna fretta di arrivare al paese situato all’incrocio delle valli. Si camminava lentamente e nel frattempo ascoltavo il suo parlare che narrava il vivere al tempo della sua giovinezza. Erano parole che descrivevano i lavori da fare appena sbocciata la primavera, erano frasi che raccontavano quelle vite semplici vissute a mezza costa. Poi, dopo gli acquisti effettuati nel paese situato all’incrocio delle strade e delle acque, attendevamo la corriera azzurrina come quel cielo di marzo che ci avrebbe riportati a casa prima dell’ora di pranzo. Scivolavano via così quei giorni di clima volubile posti al confine fra l’inverno e la primavera. Un tempo tranquillo che sarebbe terminato il giorno in cui avrei sentito l’inconfondibile rumore della Ritmo che di lì a poco mi avrebbe riportato alla vita di città.
-Ritorneresti a quel tempo d’infanzia vissuto lassù dove d’inverno il sole appare a metà mattina…
-Sì, ritornerei volentieri a rivivere quei momenti semplici e lontani, vissuti cande che ereane encora tuti e via par Colaz l’era encora i prai…
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