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L’ANIMA DI MARZO
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Dolce primavera e vero inverno, durante il mese di marzo la stagione è capace di cambiare nel corso di poche ore. Il terzo mese dell’anno può essere pugno e carezza, talvolta addirittura illusione di quasi estate e poi cupezza dei giorni severi della stagione del gelo e dei silenzi. Ti illude, marzo. Ti prende per mano per accompagnarti incontro ad un’altra serena primavera, te la fa intravedere, sfiorare, e poi beffardamente ti riporta indietro, al tempo della neve pesante di fine inverno. Neve tardiva che va a coprire quella invecchiata e stanca, prime fredde acque di timido disgelo che ridestano i torrenti e poi notti di freddo che imbianca di brina i prati, proprio come a gennaio. Li ricordo bene quei giorni di marzo vissuti nella Piccola Città. Nei giorni di bel tempo, il cielo era colorato di un azzurro chiaro e fra le case e i condomini era cantare di uccellini e vociare di bambini che ora erano ritornati a giocare nei cortili. Un po’ dispiaceva l’avere terminato di giocare con quella neve cittadina, ma ora la nuova incipiente primavera permetteva di vivere pomeriggi all’insegna delle corse in bicicletta e partite di calcio che finivano all’imbrunire. Era un tempo di viole nei prati e di voci concitate di bambini che vivevano appieno la felicità che regalava un semplice pallone. Una felicità che marzo era capace di far sfumare all’improvviso quando decideva di scaricare un bel po’ di pioggia fredda e sottile. Allora erano nuvole basse che coprivano la Schiara e il Visentin, erano pozzanghere che si formavano in cortile, erano giochi casalinghi e sguardi malinconici dalle finestre che guardavano la strada. Lassù al paese, invece, il terzo mese proponeva un tempo diverso. La domenica, quando si tornava di fronte al Pelsa, quasi sempre si trovava la neve sui prati in ombra. Era neve rugosa, crostosa, che durante i giorni sereni si scioglieva formando piccoli rivoli d’acqua per poi gelare nuovamente dopo il tramonto. Era neve stanca di vivere quel partire e ritornare dell’inverno che, almeno fino alla metà del mese, sembrava non voler lasciare la valle. A volte erano nuvole che chiudevano l’orizzonte e che ricacciavano gli uomini nelle stue, erano camini che ritornavano a fumare anche a mezzogiorno. C’era la neve nuova che scendeva fino a lambire i paesi e la pazienza dei vecchi che avevano visto nascere tante altre primavere. Conoscevano bene le bizzarrie e le incertezze di marzo, la sua anima volubile e la tenacità degli inverni di montagna. Marzo insegnava l’attesa, la pazienza, i vecchi insegnavano a leggere quelle nuvole inquiete che correvano in cielo e ad interpretare il sibilare di quel vento freddo che scendeva dalle cime cariche di neve. Marzo talvolta era tempo di carnevale tardivo e di Pasqua precoce, di carri allegorici che sfilavano nel dolce tepore di quasi primavera e di certi Venerdì Santo sferzati da vento e neve che imbiancava i Crocifissi in processione e spegneva i lumini che rischiaravano la più triste sera dell’anno. Marzo è anima inquieta, è inverno morente e primavera nascente, è accavallarsi di stagioni che sgomitano creando trambusto. Marzo è dubbio, incertezza, è sprazzi di sereno e poi nuvole che accarezzano le anime e le cime.
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