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CIAO INVERNO
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Quell’anno aveva salutato l’autunno dal culmine del monte. Era accaduto in una domenica pomeriggio di fine novembre quando, poco prima dell’ormai precoce tramonto, aveva pronunciato ad alta voce quel saluto quasi commosso. Al nascere della sera l’aria si era fatta pungente e chiamava neve anche se il cielo era ancora sereno. Ormai, pensò, era davvero inverno imminente. Di lì a poco sarebbe arrivato il tempo dello sfiorire dei larici, ora colorati di un arancio cupo, e del presentarsi dell’inverno che nei giorni precedenti aveva già imbiancato le cime. Quando scese la prima neve ad imbiancare i prati e i tetti delle case del paese, lui non c’era. Si trovava in città, a vivere una malinconica e fredda pioggia che intristiva l’anima e rendeva pesanti quelle giornate di fine autunno. Aveva osservato il marcire delle foglie gialle dei tigli che si erano lasciate morire sui marciapiedi, e nel frattempo aveva pensato alla neve che lassù al paese stava scendendo copiosa. Aveva riflettuto in merito a quella neve che, quando arriva, attutisce i rumori, crea nuovi silenzi e rallenta i ritmi della natura. A quel tempo d’inverno le montagne si mettono a riposo sotto la bianca coperta, gli uomini che vivono questa epoca, invece, non possono fare altrettanto. Aveva pensato al frenetico vivere odierno, che da qualche decennio aveva coinvolto anche la gente di montagna, facendo sì che il rapporto uomo-neve in certi casi diventasse quasi inconciliabile. Non era più come un tempo, quando d’inverno le attività degli uomini della montagna erano ridotte al minimo. Allora la neve c’era quasi sempre, ma in fondo per loro non era un grosso problema. Quegli uomini di un tempo non possedevano un’auto da guidare per recarsi al lavoro, non c’era un ufficio, una fabbrica o una scuola superiore distante magari sessanta o più chilometri, ad attenderli. Durante i gelidi mesi invernali anche loro riposavano assieme alla natura, oggi, invece la vita degli uomini della montagna imponeva gli stessi ritmi durante ogni stagione, e d’inverno, spesso, era difficile e talvolta pure pericoloso mantenere questi ritmi. Riflessioni, pensieri rivolti ad una stagione fredda che si presentava lunga da trascorrere, una stagione dei silenzi che dopo quella nevicata di fine novembre si era trascinata stancamente per tre infiniti mesi passati senza grossi sussulti. In alcune giornate era stato vento di scirocco che aveva minacciato quella neve che poi si sarebbe ghiacciata durante le lunghe notti di gennaio. In altri giorni, invece, si era presentato quel freddo di un tempo che imponeva legna buona nella stufa. L’inverno infrasettimanale che viveva in città si era addolcito negli ultimi anni, quello che invece ritrovava durante i fine settimana vissuti al paese, a volte gli ricordava i tempi passati quando, dopo aver giocato per un pomeriggio nella neve, si riscaldava sul fornel mentre fuori scendeva la sera. Ora, al tempo della stagione dei silenzi che stava abbandonando i paesi per andare a rifugiarsi sulle cime e lungo i versanti nord delle montagne, lui era nuovamente sul culmine del monte. La vecchia neve era ormai scomparsa dai tetti e il sole di quella domenica di metà marzo riscaldava l’anima e i prati. Si approssimava un tempo nuovo, dolce e ricco di vita pronta a sbocciare. Guardò in alto, verso le cime sulle quali l’inverno ormai stanco si era rifugiato e gli rivolse il saluto che si deve ad un vecchio amico che ci lascia per andare lontano.
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