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EL GUARDIA
AUDIO
“…no sta dì su ‘nte stradon se no riva el Guardia…”. Era questo il classico monito severo e inappellabile talvolta utilizzato dai nonni durante quei giorni vissuti di fronte al Pelsa. Che poi in verità ero molto libero di compiere le mie scorribande nella piccola frazione di San Tomaso e la mitica figura del Guardia era evocata solamente per farmi evitare potenziali gravi pericoli, come finire sotto una macchina, ad esempio, ma soprattutto, per evitare che combinassi qualche guaio in altra proprietà. La figura del Guardia induceva a profonde riflessioni infantili. Seduto sulla putrella di ferro collocata sotto al palanzin del tabià, tentavo di dargli una possibile identità. Sicuramente indossava una qualche una divisa a me ignota, e poi doveva essere piuttosto alto e atletico, con l’espressione severa e una folta barba. Poi arrivò una limpida giornata di giugno. Mentre la campana grande suonava le sette del mattino, partimmo da Cencenighe a bordo della 127 color del cielo in direzione del passo San Pellegrino, destinazione Valfredda. Fu una salita epica, attaccati alle corriere dei villeggianti che salivano a meno di 20 km/h e che si fermavano a fare manovra ad ogni tornante. Lunghi minuti che odoravano di frizioni semi bruciate, animi e motori surriscaldati e rumori di ventole perennemente accese. Finalmente arrivammo al parcheggio e papà aprì il cofano; dal motore saliva un simpatico …blob…blob…era l’acqua che stava bollendo, ci spiegò. Poi lo rinchiuse e mentre ci incamminavamo disse Speron de no avè brusà su tut. In poco tempo arrivammo ai tabià di Valfredda dove, appeso ad uno di questi tabià, c’era un cartello giallo con scritto Chi ama la montagna le lascia i suoi fiori. Di lì a poco avrebbe avuto inizio una sorta di festa campestre e qualcuno incominciava con calma i preparativi per fare la polenta e qualche bottiglia di rosso era già stata stappata. C’era una fisarmonica pronta a suonare e un bel po’ di gente era vestita con la camicia a quadri i pantaloni alla zuava. C’erano anche parecchi bambini, ed io ero contento così avremmo potuto giocare in quello splendido scenario di prati fioriti e montagne. La mattina andò via veloce fra le chiacchiere dei grandi e le corse di noi piccoli e poi mangiammo in allegria fra canti e risate. Fu appena dopo esserci lautamente cibati che accadde; apparve dal nulla e rimasi impietrito. Era piuttosto alto, corporatura robusta e atletica, indossava una divisa verde e aveva anche un cappello dello stesso colore. Sotto al copricapo con lo stemma dell’aquila c’erano dei capelli castani e, soprattutto, c’era una folta barba nera a che gli incorniciava il viso. Era inequivocabilmente el Guardia. Dunque, anche se non dubitavo, da quel momento ero certo della sua esistenza. La leggenda era diventata realtà, e avevo un po’ di paura; anche se lassù non avevo combinato nulla di male avevo paura ugualmente. Donne e ragazze occhieggiavano i fiori che in quei giorni erano al massimo del loro colore. Noi bambini invece correvamo per i prati giocando ad inseguirci. El Guardia si era materializzato ed incuteva una certa soggezione. Anche gli uomini non erano immuni dall’effetto che aveva sortito il suo arrivo. Si abbassarono le voci e qualcuno, che forse lo conosceva, si avvicinò a lui per fare due chiacchiere. In realtà non accadde niente di che: el Guardia appariva tranquillo, ma io rimanevo comunque sul chi va là. Ci spiegò con tono un po’ severo quali erano i fiori la cui raccolta era vietata e che noi bambini stessimo un po’ attenti a non calpestare quei fiori. Poi se ne andò prendendo la strada che si inoltra lungo la valle. Lo guardai camminare velocemente e non misi più piede nei prati e soprattutto mi guardai bene dal raccogliere fiori. Tornammo a Cencenighe nel tardo pomeriggio, abbronzati e felici, nonostante l’incontro col mitico Guardia. Tante altre volte, da grande, sono ritornato nella splendida Valfredda, e ogni volta mi sono fermato per un momento nei pressi di quel tabià. Il cartello giallo con l’effige della Cassa di Risparmio di Verona Vicenza e Belluno non c’è più, e forse nemmeno il mitologico Guardia che controlla la zona. Se è giugno, invece, ci sono gli stessi fiori che c’erano allora, che io lascio rigorosamente al loro posto perché el Guardia, quella volta, mi ha detto di fare così, ed io quell’insegnamento non l’ho mai scordato…
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