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LUNEDI D’APRILE
AUDIO
Quando al paese fiorirono i ciliegi io non c’ero. Mi trovavo in città a vivere quell’inizio di primavera che profumava di tiglio. Di fronte a casa il susino faceva ammirare i suoi nuovi fiori, lassù al paese la neve aveva da poco lasciato liberi i prati. Nella Piccola Città da un paio di settimane si stava vivendo un tempo nuovo. Un tempo di cielo colorato di un azzurro chiaro e della Schiara ancora vestita di bianco, di finestre aperte che lasciavano entrare in casa la prima aria di aprile e di persone che avevano riposto giacche e cappotti negli armadi. Al paese, invece, quel tempo non era ancora arrivato e in certi tardi pomeriggi di nuvole inquiete era ancora fuoco nelle stufe. In quei giorni si era vicini ad una Pasqua che noi avremmo vissuto in modo un po’ inedito. Quell’anno avremmo officiato in anticipo il rito dell’apertura degli scuri e dell’acqua nella casa situata ai piedi del Pelsa. Arrivammo in paese al sabato appena dopo pranzo. Quando aprimmo la porta di casa l’inverno lasciò immediatamente le stanze, rimase solamente un po’ di umidità a raccontare l’inverno appena terminato. Nel pomeriggio andai in giro a vivere un po’ di quell’inizio di primavera, ammirando le cime cariche di neve e sentendo sulla pelle il fresco di quel vento che scendeva dalle due valli. Al mio ritorno trovai il fuoco acceso e una pentola piena d’acqua che bolliva sul gas. In quei giorni pasquali i boschi si mostravano ancora brulli, i larici erano ancora assonnati e i faggi di lì a poco si sarebbero svegliati mostrando le prime foglie colorate di un verde gentile. Solo un faggio non si sarebbe risvegliato dal lungo sonno invernale. Era quello delle Martinazze, che si innalzava fiero all’interno del tornante della strada provinciale. Al tempo di quella Pasqua d’inizio aprile giaceva sdraiato e con il tronco già sezionato. L’aveva abbattuto papà qualche giorno prima, sacrificato per riscaldare la casa dei nonni durante i prossimi lunghi inverni. Era vissuto per lunghi anni accanto alla strada, su quel terreno comodo per il trasporto, tenuto par medesima, per quando l’età si sarebbe fatta sentire e non ci sarebbero più state le forze per andare troppo lontano a recuperare legna da ardere. Ora i suoi possenti rami, ancora spogli dalle foglie colorate di quel verde brillante classico della primavera, giacevano inerti sul pendio all’interno del tornante. Il nostro compito in quel lunedì dell’Angelo era quello di tagliare e poi trasportare a casa quei rami che, nei giorni successivi, si sarebbero trasformati in legna buona per riscaldare i giorni più freddi d’inverno. Avevamo iniziato il lavoro prima del levare del sole sopra il Pelsa e dopo che avevo collocato le birre e la Coca Cola nella fontana carica di fresca acqua di disgelo. Il canto feroce dell’Husqvarna aveva lacerato il dolce silenzio di quella dolce mattina d’aprile, aveva sputato per ore quella segatura chiara che andava a depositarsi sui pantaloni di papà. Il motore aveva taciuto solamente quando stava per rimanere a secco e quando la catena aveva avuto bisogno di essere affilata. Era appena iniziata una nuova primavera e noi stavamo già preparando di corsa un altro inverno, era così la vita di montagna. La luminosa mattinata scivolò via veloce e a mezzogiorno avevamo fermato il lavoro per pranzare. Pranzammo con dei gustosi panini, seduti sulle zoche, mentre un sole che sapeva di quasi estate si era posizionato sopra il centro della valle. Solamente gli alberi ancora addormentati e la neve in bilico sopra i canaloni del Pelsa ci ricordavano che stavamo vivendo l’inizio di aprile. Nel pomeriggio ancora una breve sosta e un veloce salto a casa per assistere alla benedizione della dimora dei nonni, e poi la Ritmo che per un paio d’ore si era trasformata in trattore. Avanti e indietro dal tornante a casa per scaricare quella legna preziosa dalla scorza grigia e poi il rientro veloce a Belluno, esausti e felici. Una volta a casa, una semplice cena e la dolcezza di una sera di primavera che in città, ormai, era primavera per davvero
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