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NOTTE INQUIETA
AUDIO
Mezzanotte e pochi minuti. La televisione emette l’ultimo bagliore e poi si spegne. Rimane la quiete di una notte d’inizio primavera. Un ultimo sguardo dalla finestra, niente stelle in cielo, e niente luna. Non si scorge nemmeno il bianco della neve che ricopre la cima del Pelsa. Metà montagna è immersa in una umida cappa di nuvole. Una femmina di cervo si aggira tranquillamente sotto il tabià e, tendendo bene l’orecchio, si sente in lontananza il canto tranquillo del Rù da Ghisel. Vado a letto, tempo qualche minuto e sprofondo in un sonno pesante conciliato dalla quiete delle notti montane. Ore tre e pochi minuti, mi sveglio di soprassalto. Riemergo all’improvviso dagli inferi del sonno mentre un sordo e inquietante rumore sembra squassare la casa. La mente ancora assopita non realizza immediatamente ciò che sta accadendo. Penso al terremoto, o forse a dei ladri in casa, poi, dopo qualche istante, ritorna la razionalità. Accendo la luce e tutto appare in ordine, c’è solamente quel rumore cupo che viene e va. Sento vibrare la lamiera del tetto, sento un fischio che proviene dal camino che in quegli attimi suona come un flauto gigante. È il vento che provoca questo inquietante fragore notturno. Un vento teso che talvolta soffia a raffiche potenti, che sembra provenire da sud. Mi alzo, vado all’abbaino e poi apro la finestra. Di colpo il suono del vento si fa più forte. Un ululato malinconico e severo rompe il silenzio solenne di questa notte d’inizio primavera. La valle risuona come una immensa canna d’organo che produce una nota da basso profondo. Guardo in alto, ora nel cielo si intravede qualche sprazzo di sereno nel quale brillano le stelle. C’è subbuglio in cielo ed anche lungo i ripidi versanti del Pelsa. La stanca luce arancione dei radi lampioni illumina gli ancora spogli larici centenari che piegano verso nord. Si agitano mossi da quel vento che talvolta muta di colpo direzione venendosi ad infilare nella finestra socchiusa. Ora le raffiche si fanno più forti e le lamiere del tetto vibrano producendo un suono sinistro. Non può accadere nulla, mi dico, il tetto è nuovo e costruito a regola d’arte, non può cedere. E poi penso a loro, che tanti anni fa abitavano in questa casa tirata su a mano. Loro non avevano mai paura, nemmeno durante i violenti temporali estivi e neanche quando nevicava forte. Conoscevano la montagna, erano un tutt’uno con la loro terra. Guardavano dalla finestra e aspettavano con pazienza che il tempo ritornasse quieto. Al massimo imprecavano se la pioggia andava a bagnare l’erba appena falciata che si stava tramutando in fieno. Intanto il vento insiste, continua a sferzare la valle producendo quella nota cupa che a tratti cambia di intensità. Ed ecco che, dopo alcuni minuti, le nuvole che avvolgevano metà del Pelsa si diradano. Ora sono ricomparse quelle luci senza età che brillano nei boschi della grande montagna. Le due Stelle del Pelsa sono al loro posto e all’orizzonte sud si intravede il bianco della neve che ricopre il versante nord dello Spiz de Medodì. Ora il vento sembra calato, ulula con voce affaticata e fra una folata e l’altra si sente il malinconico canto del bereghel che sta vivendo la sua notte nei pressi delle case di Ghisel. È tempo di tornare a letto a vivere il resto di questa notte inquieta, aspettando l’alba ascoltando gli ultimi sussurri notturni del vento che ora sta lasciando la valle.
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