IN MEMORIA DI FRANCO MIOTTO, CHE FRA QUESTI MONTI ERA DI CASA
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Dal diario…
Il giorno del monte Coro 18 luglio 2004.
Il momento è arrivato. L’appuntamento con Massimo è alle 6.30 in Via Feltre, il tempo è ottimo ed alle 7 siamo già con gli scarponi ai piedi sotto ai primi scalini del sentiero che porta al Rif. Bianchet. Partiamo, lo “scurton” è subito ripido, l’aria è ferma e già si suda parecchio. Giunti sulla strada sterrata iniziamo a svegliarci ed iniziano le solite battute condite da imitazioni e tormentoni. Il passo è buono e dopo due ore spaccate siamo al rifugio a bere il caffè in compagnia di Anna, la giovane gestrice. Un quarto d’ora di sosta e poi inizia la parte più selvaggia del percorso. Penso che siamo soli in tutta la valle e spero di non trovare confusione, anche se in questi luoghi è difficile trovare la folla. I discorsi intanto iniziano a lasciare spazio ai pensieri. Penso a quante storie sono state scritte fra queste montagne. Storie di caccia ed alpinismo eroico. Penso a quanto siamo soli in questo ambiente così aspro e selvaggio in questa calda domenica di mezza estate. Il sentiero si fa più erto in alcuni punti mentre in altri scende deciso. Ci fermiamo, tiriamo fuori la carta e ci rendiamo conto che la strada è ancora lunga per arrivare in vetta. Fa caldo, sono quattro ore che siamo in cammino ed ho un momento di scoramento. Poi, improvvisamente, ecco una bella sorpresa: arrivo ad una forcella e mi si presenta davanti uno spettacolo incomparabile. Si materializza di fronte a noi il Burel con la sua sagoma inconfondibile ed enorme. E poi la Gusela e la catena di cime che porta alla Pala Alta salita appena due settimane prima. Troviamo fra l’erba la targa che sancisce il termine del “Viaz dei Camorz e Camorzieri”, pazzesco itinerario di croda che da qui riusciamo da ammirare in tutta la sua interezza. Osservo il piccolo prato della Fratta del Moro e penso all’enorme coraggio di Franco Miotto nell’attraversare la parete del Burel. Poi l’avrebbe anche salita, ma questa è un’altra storia. Riposiamo ancora un po’ e poi partiamo decisi vero la cima ormai in vista. Superiamo il canalino che porta sul grande pianoro sommitale e camminando fra le piante di rododendro arriviamo in vetta a mezzogiorno in punto. Stretta di mano e gran spettacolo che si gode dalla cima nell’afa di luglio. Raffica di foto e poi apro libro di vetta che racconta che non sono molte le persone che arrivano fin qui. Poco prima dell’una lasciamo la sommità del monte Coro ed iniziamo a scendere. Fa ancora molto caldo, la discesa è piuttosto lunga ed un po’ di stanchezza inizia a farsi sentire. Dopo un lungo tratto di sentiero nel bosco scorgiamo la sagoma del rifugio. Arriviamo come due naufraghi persi in questo oceano di monti e valli deserte sognando la meritata birra mentre il numero di escursionisti continua ad aumentare come l’umore di Anna che ci accoglie con molta cordialità. Poi riprendiamo la discesa parlando dei panorami che abbiamo ammirato. Dalla cima si vedono le Pale di San Lucano che quello stesso giorno sono teatro di un’impresa epica che vede protagonisti i forti alpinisti Ivo Ferrari e Silvestro Stucchi: la prima ripetizione della “Via dei Bellunesi” sullo Spiz di Lagunaz. Terribile via aperta nel 1979 da Franco Miotto insieme a Riccardo Bee e Stefano Gava. Gente che era di casa fra queste montagne. Uomini coraggiosi ed appassionati di questi ambiente selvaggi che hanno scritto pagine di storia alpinistica di grande spessore. Dopo aver incontrato una bella vipera sentiamo il rombo delle moto che corrono sulla 203. Pochi minuti e siamo in macchina direzione Belluno. Si chiude così una splendida giornata trascorsa nel mondo selvaggio del gruppo della Schiara. Un’escursione nata un mese prima proprio su suggerimento di Franco Miotto con cui avevamo parlato per qualche minuto dopo una serata di diapositive nella sua Limana. “…andè…andè sul Coro…le al pi bel posto, la pi bèla zima par vèder la S’ciara e i Monti del Sole…” Così ci disse con il suo parlare entusiasta delle sue montagne. E noi ci siamo andati…ciao Franco.