DAI SANT E DAI MORT
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Non c’era Halloween. C’erano i giorni “dei Sant e dei Mort”. Una cosa seria, con i mazzi di fiori avvolti nel cellophane e lumini in corridoio pronti a prendere la strada che portava a Cencenighe. La Ritmo profumava di crisantemi mentre percorreva la 203 dirigendosi verso il cimitero in riva al Cordevole. Scendevi dall’auto e, mentre guardavi le pietre del torrente ricoperte di candida brina, un vento gelido ti dava il benvenuto sferzandoti il viso. Il camposanto, nel cielo grigio di novembre, aveva un’aria tetra e severa. Un cimitero moderno, ricavato seguendo il profilo del pendio da dove nasce il Pelsa. Quello vecchio era stato spazzato via senza alcuna pietà dall’acqua del Biois durante la terribile alluvione del ’66. I defunti, tumulati nel terreno fatto a gradoni, nel loro sonno eterno potevano guardare il paese dove erano nati vissuti e morti. C’erano persone in silenzio e si udiva solo qualche bisbiglio su dove posizionare le candele ed i fiori. Sospiri per i morti recenti, preghiere per quelli saliti in cielo da tempo. Si respirava, assieme all’aria fredda, il rispetto ed il ricordo per chi non c’era più. Il vento freddo di novembre portava suoni di secchi di lamiera zincata, di vasi di rame che venivano appoggiati al gelido marmo delle tombe e di accendini che tentavano di dar vita a candele e lumini. C’era sempre qualcuno che si conosceva. Un saluto appena accennato ed un dialogo sempre uguale: “…come vàla?…qua…par zhimiteri…”. I sorrisi erano pervasi da una serena malinconia mentre il cielo grigio sembrava promettere neve. Mamma sistemava i fiori, toglieva quelli appassiti e metteva quelli nuovi nei vasi di vetro. Papà posizionava le candele, faticando non poco ad accenderle a causa del vento. Mentre la luce del giorno iniziava a scemare facevamo un breve giro per visitare le tombe di persone a me sconosciute. Ancora qualche saluto sottovoce, poi il freddo e quel vento gelido e teso avevano la meglio. Il ghiaino gelato scricchiolava sotto le scarpe mentre ci dirigevamo verso l’uscita del camposanto. La curva a destra in discesa fra i due alti muri di cemento e poi il chiudersi dietro le spalle del cigolante cancello di ferro. Arrivati alla macchina un ultimo sguardo al cimitero illuminato dalla malinconica luce dei lumini che rischiaravano con la loro tremula luce la sera appena arrivata. Poi i fari della Ritmo rischiaravano la strada che iniziava a ghiacciare, una breve sosta a casa ed era già tempo di ritornare a Belluno. Ancora un paio di settimane, forse meno. Poi il colorato autunno si sarebbe tramutato in freddo e silenzioso inverno. E sarebbe scesa la prima neve.