BRAMITI DI OTTOBRE
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Era la prima domenica di ottobre. Trascorsi quella giornata girovagando sul monte godendomi il piacevole tepore d’inizio autunno. Tutto era perfetto quel giorno: il cielo di un azzurro intenso ed il bosco che iniziava a vestirsi con il suo abito più colorato. Chiusi la porta del tabià quando il sole era andato a nascondersi dietro alla cima di Pape. Caricai lo zaino in spalla e mi avviai lungo il sentiero che mi avrebbe portato fin sulla provinciale. Camminavo da pochi di minuti quando mi fermai al primo bivio del percorso. C’era un gran silenzio e le cime dei larici erano mosse da un vento leggero. Il sesto senso stava facendo il suo lavoro e mi suggeriva di fermarmi proprio in quel punto. E così, mentre guardavo la parete del Pelsa ancora illuminata dal sole, un urlo improvviso, gutturale e lacerante ruppe il silenzio del bosco. Era il bramito del cervo. Un suono potente, primordiale ed affascinante. Il re della foresta era a poche decine di metri da me, ma non riuscivo a vederlo fra gli alberi. Sentivo il suo muovere nervoso, lo spezzarsi dei rami a terra ed il fruscio delle foglie che calpestava. Lui sicuramente mi avrà visto, pensai. Rimasi immobile per qualche minuto ad ascoltare quei versi impressionanti. Mi vennero in mente i dinosauri, forse la loro voce poteva assomigliare a quella dei cervi in amore. Chissà. Ero da solo in un bosco che andava incupendosi minuto dopo minuto con un cervo urlante a poche decine di metri. Eppure non avevo paura. Ero affascinato da questo grande spettacolo che la natura in quel momento mi stava offrendo. Poi ricominciai a scendere, sempre accompagnato dal potente bramito del re dei boschi. Arrivai alla macchina quando ormai i boschi del Pelsa erano in ombra. Solo le creste sommitali erano ancora illuminate dagli ultimi raggi del sole. Con calma mi slacciai gli scarponi mentre Ghisel, aldilà della valle, entrava nell’oscurità della sera. La penombra portò nuovi bramiti che provenivano dai costoni sopra Colaz. Stetti ancora un po’ ad ascoltare, poi salii in macchina. Era quasi notte e le montagne erano divenute sagome scure che andavano a confondersi con il cielo ormai buio. Salutai i miei boschi. Li avrei rivisti la domenica successiva. Per riascoltare i bramiti, invece, avrei dovuto attendere un anno.