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SAN TOMASO In piazza a Cencenighe c’era la coincidenza. Scendevo dalla corriera per Caprile ed attraversavo la strada. Sotto la chiesa, colorata di azzurro come la 127 di papà, mi aspettava la corriera per San Tomaso. Salivo i due scalini della porta anteriore e salutavo Mario. Che sapeva già dove sarei sceso. Un accenno di sorriso mentre gli mettevo in mano la moneta da 500 lire. Poi apriva la borsa marrone e mi porgeva il biglietto che tenevo in mano aspettando il click della pinza obliteratrice. E c’era calma e gentilezza nei gesti di quell’uomo dai capelli brizzolati. Prendevo posto sul primo sedile di destra e, dopo pochi minuti, un’occhiata di Mario all’orologio sanciva il momento di partire. Mezzo giro di chiave e con uno scossone la corriera numero 154 prendeva vita. Chiusura porte, freccia a sinistra e sblocco del freno a mano che scaricava la pressione con un forte sbuffo. Cambiata prima-seconda appena dopo la chiesa con una perfetta doppietta. E subito iniziava il roteare del grande volante color avorio. Un colpo di tromba bitonale ed in pochi secondi eravamo alla curva della Casa Cantoniera. La corriera color del cielo si specchiava nelle vetrate dei garage della Cantoniera della Provincia ed ormai mancavano pochi metri al momento fatidico: il temuto incrocio di San Tomaso. Era una manovra ad altissimo coefficiente di difficoltà e pure richiosa. Un bivio in salita dove la corriera passava al centimetro. Posto fra due curve completamente senza visibilità. Eppure Mario era calmo e sereno. Quando metteva la freccia a sinistra per invadere la corsia opposta dell’allora Statale 346, la mia ammirazione per lui si innalzava fino oltre la cima del Pelsa. Puntava il ciglio della scarpata sul Biois ed iniziava la manovra per imboccare la Provinciale. Lo guardavo ruotare il volante a destra fino a fondo corsa con la tranquillità assoluta di chi il suo lavoro ce l’ha nelle mani. Ed era in quel momento che potevo vedere la vecchia galleria delle Anime. Per qualche secondo rimanevo ipnotizzato a guardare le luci arancioni a mercurio che spuntavano fra i pilastri del tratto artificiale. Intanto la corriera era di traverso sulla strada che porta in valle del Biois. La “crepa” scorreva a pochi cm dal parabrezza mentre Mario teneva d’occhio lo specchietto di destra. Quando iniziava a raddrizzare il volante finiva l’apnea. Mentalmente facevo i complimenti a quell’uomo calmo e sicuro e mi rilassavo ammirando il panorama di Cencenighe sotto di noi. Ancora un po’ di attenzione ed un colpo di tromba alla curva delle “crepe”, poi le difficoltà erano terminate. Dopo poco di due km Mario fermava la corriera nei pressi della casa dei nonni. Un po’ prima della fermata ufficiale. Ed era una bella cortesia di quell’uomo che ispirava fiducia. Scendevo e la corriera ripartiva verso Celat e Mezzavalle. L’avrei ascoltata scendere lungo la provinciale dopo qualche ora. Come un orologio che scandiva il tempo di quei giorni lontani.