DI MARZO…
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Erano i giorni in cui la primavera iniziava a liberare i prati dei “Mos’ce” da quella neve sfinita che ormai aveva abbandonato completamente anche il tetto del tabià. Tracce d’erba nuova si mostravano in quel bianco ormai stanco che ancora gelava in certe notti di marzo. Dopo pranzo io e la nonna andavamo a camminare nel tepore di quei pomeriggi di nuvole che correvano sopra le creste ancora innevate del Pelsa. Cento metri “de stradon” e poi imboccavamo la ripida salita che conduceva “ai Piegn”. Dove l’asfalto terminava e la strada si trasformava in sentiero c’era una bella casa con una elegante palizzata in legno. Ci fermavamo qualche attimo a prendere fiato e a guardare l’aereo di legno posto in cima ad un palo. Era sempre in movimento, con l’elica che girava grazie al perenne vento d’inizio primavera che spirava da nord. Poi si ripartiva, percorrendo il breve sentiero pianeggiante che portava al grande masso dove c’era una semplice “brega” che fungeva da panchina. Era in questo luogo, dove si trovava la grande casa fra gli alberi con relativo “condut” di legno ubicato nel prato sottostante, che si incrociava la strada forestale che portava “fora su le zime”. Quel pomeriggio, sopra il Pelsa stazionavano pesanti nuvole grigie e l’atmosfera era umida, con il sottobosco bagnato dallo sciogliersi della neve. Nonostante quella sensazione di pioggia imminente, la nonna decise, come accaduto altre volte, di allungare il giro inoltrandosi lungo la stradina sterrata. Dopo il primo ripido strappo prendemmo la mulattiera che in pochi minuti ci avrebbe portato alla “casa che non c’era”. Ovvero quella misteriosa dimora situata nel cuore del bosco, la cui esistenza era testimoniata dalle poche pietre ormai ricoperte di muschio. Ed io tentavo di immaginare questo “Re da l’Anime” che un tempo abitava la “casa che non c’era”. Chissà, forse aveva pure una corona d’oro e gioielli come quelle dei film questo misterioso monarca del regno “de l’Anime”. Nel frattempo arrivò la pioggia, dapprima sottile, poi leggermente più insistente a bagnare i rami ancora spogli dei larici. Così scendemmo lungo un sentiero a me sconosciuto che, mi disse la nonna, ci avrebbe portato in breve tempo “du inte stradon”. Camminava leggera, “in scarpete” quasi senza guardare dove metteva i piedi. Li conosceva a memoria quei per me ancora misteriosi sentieri che erano parte di quella sua esistenza fatta di fatica e lavoro sui prati e nei campi. Pareva danzare su quei sassi scivolosi ed io la seguivo con l’agilità dei miei cinque anni. La traccia scendeva ripida fra i muri a secco circondati dalla vegetazione che velocemente cresceva sui prati. Non lo sapevo, allora, che i tempi stavano rapidamente cambiando. I nonni invecchiavano mentre i giovani “pez” prendevano il posto delle “bachete da fasoi”. Scendemmo ancora un pò fino a raggiungere quello che un tempo era “el ciamp de patate” ora diventato “prà da siegà par fa sù ‘npochi de fas de fen par la vacia”. Poi, con un ultimo ripido salto, fummo sulla provinciale dove scorrevano dei piccoli rivoli d’acqua che si incanalavano nella cunetta interna del tornante delle Martinazze. Un quarto d’ora e fummo a casa ad asciugarci vicino alla “cosina economica”. Fuori, le nuvole avevano avvolto il Pelsa e la pioggia scorreva sui teli di naylon che coprivano la legna. Poi, fu un tranquillo abbandonarmi sul divano della cucina, sotto una coperta posata senza che nemmeno me ne accorgessi…Magiche Dolomiti!!