RICORDI DI FEBBRAIO
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Sono seduto sul fornel ed ho in mano un cavallo azzurro di plastica. La legna di larice scoppietta nella cucina economica e fuori è sceso il buio di una sera di fine febbraio. Abbiamo cenato presto, come sempre. Un piatto fumante “de menestra da orz” terminato quando la pendola ha battuto le sei e mezza. La nonna mette i piatti nella bacinella di plastica del lavandino e poi pesca acqua bollente dalla vasca “dela cosina” con la lattina verde dell’olio Sasso. Una spruzzata di detersivo e ritorna “inte stua”, poi con un cenno del capo mi fa segno di seguirla. Scendo dal fornel con in mano il mio cavallo di plastica e la vedo mettersi sulle spalle lo scialle di lana rosa. Usciamo, l’inverno ora è un pò più gentile e regala pomeriggi tiepidi e sempre più lunghi. I prati al sole ormai sono sgombri dalla neve e soltanto la notte il ghiaccio ritorna a scintillare alla luce della Luna. Una ventina di metri e poi scendiamo gli scalini che portano “inte ort”. Il sentiero è ripido e ghiacciato ma la nonna scende sicura “in scarpete” e con la pila rossa in mano. Non mi dice nulla, non mi raccomanda di fare attenzione. Lei cammina leggera ed io seguo la debole luce “che me fa ciaro”. Ancora pochi passi e siamo sulla porta della casa di sotto. Un’ombra ci apre. È vestita quasi come la nonna. Lo scialle grigio come le calze, il maglione nero e la “cotola” marrone. Il corridoio è buio e stretto e c’è profumo di minestra. La “stua” è calda, il “fornel” è uguale a quello dei nonni e il divano dove mi siedo è coperto da un plaid a fiori. Sul pavimento accanto al sofà c’è una cesta con due gomitoli grigi ed un mezzo maglione con i ferri che trapassano l’elaborata trama. Il cavallo di plastica azzurra galoppa sul plaid correndo nella penombra della “stua” mentre le due donne sono sedute sulla “banca del fornel”. Voci di ombre magre raccontano storie “de prima de la guerra” che si intrecciano con nomi che rimandano a tempi lontani. Tento di ascoltare, di capire. Ma non riesco a dare un volto a questi nomi desueti. Mi sono famigliari invece, i nomi dei luoghi che sento pronunciare dai nonni e spesso anche da mamma e papà. “Costoia, la Piaia, Fontanele”. In alcuni di questi posti ci sono stato, così cerco di immaginare i protagonisti di queste storie misteriose che ascolto nella calda semi-oscurità della stua. La pendola batte le sette e mezza ed il cavallo di plastica nel frattempo ha galoppato fino all’estremità del divano. Dove ha trovato la scatola di legno “dele gusele” uguale a quella della nonna. Ed ancora nomi e soprannomi e storie sottovoce mentre il sonno inizia a farsi vivo. Le due ombre si alzano e si salutano, la porta di corridoio e poi d’entrata si aprono. Ora fuori fa freddo ed il ghiaccio scintilla illuminato dalla Luna. Saliamo il breve e ripido sentiero senza accendere la pila. Sopra di noi la sagoma scura del tabià, aldilà della valle il Pelsa addormentato sotto una spessa coperta di neve. C’è un gran silenzio e si sente soltanto lo scorrere sommesso dell’acqua della “brenta”. Entriamo in casa e subito la nonna apre “el banc da le legne” e prende un grosso “mocol de fagher”. Mentre mi infilo il pigiama ascolto il cigolare della pòrtella della Focus ed il russare del nonno che dorme aldilà della parete. Mi arrampico sul “fornel” e mi infilo sotto il piumone beige. I passi leggeri della nonna e gli occhi che iniziano a chiudersi. In mano ho ancora il cavallo di plastica. Aldilà dei vetri, una notte di stelle che brillano sopra il Pelsa…Magiche Dolomiti!!