IL GUARDIANO DEL MONTE
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Era un sabato di metà febbraio. Un giorno freddo, di quelli in cui la neve brilla come il cristallo ed è dura sotto gli scarponi. Arrivò sul monte al mattino presto, con il sole ancora nascosto dietro il Pelsa e la vallata in ombra. Aprì la porta della baita, posò lo zaino su di una sedia e subito si mise all’opera per accendere il fuoco. Era uso lasciare legna asciutta nella panca, così, dopo pochi minuti, la vecchia “Centa” soffiava chiedendo di essere alimentata a dovere. Chiuse il registro, prese il “manarin” e uscì a spaccare un pò di legna “de fagher” accatastata durante le ferie d’agosto. Ricordava bene quel giorno d’estate in cui aveva lavorato un per preparare la “pila” per l’inverno e, lavorando in solitudine, si era sentito un pò il “guardiano del monte”: c’era molto caldo, allora, e c’era un bel sole. Pensava che anche ora stava nascendo il sole sopra il Pelsa, ma questa volta, mentre stava spaccando quella stessa legna, il fiato ghiacciava sui baffi. Erano quattro, cinque gradi sotto lo zero; che sarebbero diventati dieci o forse più quando le stelle avrebbero fatto la loro comparsa in quel cielo d’inverno. Andò via così la mattina, con il sole che faceva scintillare i candelotti ghiacciati che pendevano dalle Grondaie e i colpi decisi del “manarin” che rompeva quel silenzio di neve. Quando udì i rintocchi della campana grande che suonava il mezzogiorno interruppe il lavoro, entrò nella baita e si sistemò accanto alla cucina economica. Mise a riscaldare i panini nel forno e aprì una lattina di birra. Mangiò con gusto pensando che in pochi metri quadri aveva tutto ciò che gli serviva in quel momento per essere felice. C’erano il tavolo di quercia, la “cosina economica” con il tubo decorato a fiori e la credenza dei suoi di quando si erano sposati. E nella credenza una lampada, le birre, l’olio il sale il caffè e la grappa. Finito di mangiare caricò al massimo la “fornela” e si coricò sulla sdraio da spiaggia, quella che usava d’estate quando dormiva all’ombra degli alberi. E che ora stava nell’angolo di fronte alla stufa. Arrivarono sul monte a pomeriggio inoltrato, quando il sole stava per andare a morire dietro alla cima di Pape. Erano saliti velocemente lungo la traccia che correva sotto la linea elettrica; quel tratto era perennemente in ombra e la neve era dura come il marmo. Non erano nemmeno necessarie le ciaspe nonostante il buon metro di spessore. Caricò un’altra volta la stufa e andò loro incontro. Li vide spuntare nella radura al termine del tratto più ripido. Loro lo scorsero fra gli alberi spogli; i capelli lunghi che uscivano dal berretto nero, la barba bianca e un piumino leggero, che lui il freddo non lo sentiva. Si salutarono come si fossero visti il giorno prima. Lei aveva gli occhi colorati di cielo, lui il passo sicuro di chi era nato sotto alle montagne che potevano ammirare da lassù. Il camino fumava regolare e nella baita c’era un caldo di legna buona. Un bel “mocol de fagher” e il fuoco riprese a riscaldare i “zercoi” e a far bollire l’acqua del caffè. Parlarono di montagne, del passato e del presente di quelle valli. Tentavano di immaginare il futuro di chi avrebbe vissuto un domani fra le loro montagne. Ora il caffè fatto con l’acqua della fontana fumava nei bicchieri, la stanza era sempre più in ombra ed il pomeriggio si stava lentamente tramutando in sera. Uscirono per vivere quel limpido tramonto d’inverno. Pochi passi e giunsero sull’orlo dello strapiombo nel momento in cui suonarono le campane a fondovalle. Poi i rintocchi si fecero sempre più distanti fino a svanire e calò il grande silenzio delle montagne d’inverno. Parlarono ancora di monti e paesi mentre la neve scricchiolava sotto i loro passi. Quando le ombre del pomeriggio avvolsero il monte si prepararono a scendere. Il fuoco morì lentamente, il freddo iniziò ad aumentare e con gli zaini in spalla si avviarono lungo il bosco ormai in penombra. Scesero velocemente fino alla provinciale, poi lui li condusse in un breve giro nei suoi ricordi più cari. Si salutarono nell’attimo in cui la luce del sole aveva terminato la sua scalata lungo l’alta parete del Pelsa. Ora era quasi sera; il termometro dell’auto segnava nove gradi sotto lo zero, l’asfalto iniziava a brillare di ghiaccio e “…l’era beleche ora de tirase ‘ndu n’ altra ota…”…Magiche Dolomiti!!