PIOGGIA DI MAGGIO
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“…dai parecete che don in sù…fon en salto fin a San Tomas…”. Terminavo i compiti in velocità mentre papà finiva di bere il caffè sfogliando le pagine del Gazzettino. Ero contento di fare un giro infrasettimanale dai nonni, in fondo fuori pioveva e sicuramente non sarei uscito a giocare. La Ritmo ci aspettava in cortile, grigia e triste come quel cielo carico d’acqua. Viale Europa aveva il traffico del pomeriggio; auto svoltavano all’Eurospar mentre l’autobus giallo si dirigeva verso il capolinea di Mier. Salita di San Lorenzo ed incrocio della Baita. Ecco, il deciso prima-seconda davanti al bar dava inizio al “viaggio” vero e proprio. Non c’era l’autoradio e non c’erano tante parole. Qualche frase lasciata a metà, quasi delle riflessioni a voce alta che si perdevano nel rumore delle ruote che aprivano le pozzanghere sull’asfalto. “…varda quanta acqua…varda che temp…le en cin de trafico encoi…”. Poi ritornava il silenzio delle voci ed il cupo e monotono suono della Ritmo che accelerava di terza dopo il curvone del ponte del Mas. Superato il curvone a destra dopo il Peron si poteva correre un po’ di più. Le auto che ci precedevano alzavano nuvole d’acqua che sfumavano il verde deciso della primavera appena sbocciata. Anche la spia dei fari della Ritmo era verde come le foglie degli alberi a fianco della strada ed i tergicristalli ritmavano il nostro viaggiare sull’asfalto bagnato della 203. Sullo sfondo niente montagne. Nascoste dalle nuvole basse si lasciavano soltanto immaginare alte ed imponenti sopra i prati di Candaten. Il Cordevole era scuro, leggermente ingrossato dalle acque del disgelo ed un po’ anche da quella pioggia insistente. Ma non faceva paura come qualche volta d’autunno. Scorreva tranquillo, nella certezza di poter ospitare senza problemi quel piovere di maggio. Al curvone della Muda non c’era il versante sud dell’Agner a salutarci. Anche lui inghiottito dalle nuvole che ricoprivano quel mondo umido di una primavera che pareva novembre. “…varda acqua…speron che cambie sto temp…” Poche parole e tanti silenzi mentre salivamo la “Riva dei Castei”. La cantoniera ci accoglieva malinconica, con il tetto di lamiera lucidato dalla pioggia ed i gerani alle finestre gocciolanti e tristi. Una malinconia che voleva entrare nell’anima ed una umidità che entrava nell’abitacolo della Ritmo. Papà “sfrazzava” col riscaldamento e la “peza” per disappannare i vetri mentre i miei occhi cercavano invano la sud della Marmolada sullo sfondo. Ogni panorama ci era precluso, solo i due campanili della chiesa di Agordo ci salutavano pigramente per l’ennesima volta. Dopo il ponte di Listolade, una volta imboccata la strada “alta”, lo sguardo volgeva aldilà del Cordevole a cercare la neve ancora presente della “levina de Mèzcanal”: “ghe né vegnù du ‘n bon cin sto an, la dirà via ala fin del mes”. A Cencenighe il lago era pieno fino all’orlo, l’acqua sfiorava potente dalla paratoia e gli scarichi di fondo ruggivano sotto il ponte del Ghirlo. In piazza le nuvole stazionavano poco sopra l’Angelo del campanile e rivoli d’acqua scendevano lungo la strada che porta in Val del Biois. Ormai eravamo quasi a “San Tomas”. Ancora poco più di due km di salita affiancati dai “fagher” addobbati di nuove foglie pregne d’acqua e poi avremmo parcheggiato nello spiazzo di ghiaia. Ora non c’era più il suono cupo della Ritmo. Solo il picchiettare della pioggia e qualche camino che fumava stancamente. Era un giorno di primavera carico di nuvole e silenzi d’autunno. Lassù, sulle creste del Pelsa ricoperte di nubi, sarebbe scesa l’ultima neve…Magiche Dolomiti!!