SERA DI LUNA ROSSA
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Era un rovente venerdì di fine luglio di tre anni fa quando, dopo aver lasciato una infuocata Valbelluna, approdai nella più fresca Cencenighe. Sarebbe stata sera di Luna rossa: non la barca a vela che corre l’America’s Cup, ma la Luna vera. Che quella sera si sarebbe presentata vestita di un inedito colore rosso. Così, dopo cena, io e papà salimmo sul monte per assistere all’interessante prodigio astronomico. Salì sicura la Panda lungo l’erta strada forestale ed in breve fummo al nostro posto di vedetta. Il giorno iniziava a sfumare quando ci sedemmo sulla panca di larice. Da quel punto potevamo ammirare tutte le montagne che circondano Cencenighe: il Pelsa a est, lo Spiz de Medodì a sud e la cima di Pape a ovest. Un paio di birre, “calche ciacola”, i messaggi a cui rispondere mentre la sera lentamente si trasformava in notte. Pareva di stare seduti di fronte ad una immensa TV che ad un’ora non precisata avrebbe trasmesso l’atteso spettacolo. Ma noi non avevamo in mano il telecomando di quella TV. Potevamo solo attendere. Pian piano calava il buio sulla valle e la montagna iniziava la sua lezione: ci avrebbe insegnato che la natura ha i suoi tempi e che, se volevamo assistere allo spuntare della Luna rossa sopra il Pelsa, avremmo dovuto vivere quel silenzio di fine luglio. Passavano i minuti, le cime si facevano sempre più scure e le montagne insegnavano che, forse, esisteva un modo più giusto di vivere la vita. Il leggero vento portava la calma della sera. Sentivo il fuggire della frenesia della fabbrica lasciata poche ore prima. I rumori dei macchinari ed il ronzio dell’aria condizionata lasciavano spazio al silenzio di una notte d’estate. Aspettavamo lo spuntare della Luna e nel frattempo stavamo vivendo un tempo rallentato che era anch’esso prodigio. Poi, dopo le ventidue e trenta, ecco farsi vivo un alone arancione sopra le cime della Palazza. Pochi istanti ed eccola apparire finalmente nel cielo: l’avevamo attesa come si attende una diva. E lei, la Luna per l’occasione vestita di rosso, non ci aveva deluso. Scavalcata la grande montagna iniziò il suo camminare verso ovest, e fu affascinante quando si ritrovò al centro della grande “V” formata dal Pelsa e dallo Spiz de Medodì. In silenzio seguimmo il suo incedere verso “El Mul” per poi girare in direzione della cima di Pape. Una luce inconsueta e bella illuminava le montagne agordine che, quella sera, mentre attendevamo la Luna, mi avevano insegnato che esistono momenti in cui occorre fermarsi e “vardase ‘n cin d’intorn”, lasciando da parte, almeno per qualche ora, il frenetico correre quotidiano che purtroppo troppo spesso non porta a nulla. Verso mezzanotte la Luna terminò il suo show agordino e noi riprendemmo la strada di casa. I fari della Panda illuminavano il bosco addormentato e poco dopo fu un tranquillo riposare cullato dal canto del Biois.
SERA D’ESTATE
“Sera d’estate. Quando sulla cima del monte tutto tace. E la notte arriva piano, insieme ad una leggera brezza che muove le foglie dei “fagher”. Poi l’oscurità ruba lo spazio al giorno prendendosi i boschi del Pelsa. Le montagne diventano imponenti sagome nere che attendono la Luna. E lei si fa desiderare piuttosto a lungo. Il buio acuisce i sensi, ed il mormorare del Biois, trecento metri più in basso, diventa la colonna sonora di questi momenti. Le luci dei paesi a fondovalle regalano tranquillità. Appaiono come stelle in un cielo al contrario. Le costellazioni di Cencenighe, di Taibon e Agordo offrono uno spettacolo che affascina ed un po’ commuove. Poi, nella pace della sera, ecco il prodigio: la Luna scavalca le creste del Pelsa ed una nuova luce illumina le montagne. Eccole riapparire vestite con l’abito della notte. A regalare nuovi sogni a chi, nel silenzio, le sta ad ammirare.”…Magiche Dolomiti!!!