FERRAGOSTO AGORDINO
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Il giorno di Ferragosto l’apice dell’estate era stata raggiunta. E bisognava festeggiare. In grande stile. E così al mattino presto, centinaia di turisti tentavano di accaparrarsi il posto migliore per il pic-nic lungo la 203. I più mattinieri si piazzavano sui prati di Candaten, ed era un trionfo di coperte stese su quell’erba non ancora invasa dalle zecche. Gli altri si accontentavano di improbabili piazzole di ghiaia a bordo strada fra la Stanga e La Muda. Portelloni aperti, sedie a sdraio e primordiali contenitori Tupperware strabordanti di qualunque tipo di cibo commestibile. Odore di benzina super e profumo di birra e panini. A Cencenighe era il gran giorno: alle dieci e mezza c’era la “Mesa Granda”. Che “Granda” lo era sul serio. Con l’organo, il Coro Parrocchiale e la chiesa che non riusciva a contenere la grande quantità di gente. Così, con la porta aperta, la Messa la potevo seguire tranquillamente da casa. C’era l’attesa per l’uscita della Madonna portata in processione dai coscritti. Quando si notava fermento sul sagrato si usciva di casa. Ed ecco la Madonna con il suo splendido baldacchino apparire sulla soglia. E la folla teneva il fiato sospeso perchè la manovra non era semplice: qualche volta la croce dorata rischiava di sbattere sullo stipite della bellissima porta scolpita da Dante Moro. Ed era in quei momenti concitati che le campane iniziavano il loro magico concerto. Tutti e cinque i bronzi insieme, con i loro rintocchi festosi e potenti. Il Parroco non badava a spese di corrente elettrica, e così le campane suonavano per tutta la durata della processione. “Inte par Vila” fino alle “Cioipe”, poi ritorno per via Roma. Con i Carabinieri ed il vigile a tentare di sbrogliare quella gioiosa confusione di macchine bloccate in piazza. Intanto in casa si iniziava ad annusare il buon profumo di braciole e spiedini. E patate fritte a volontà. Nel secchio blu galleggiava l’anguria, che veniva consumata dopo pranzo guardando il traffico che andava e veniva dalla Val del Biois. Poi passeggiata pomeridiana e la sera festa in pineta. Che allora era ancora una pineta. Dal giorno dopo una consapevolezza nuova faceva capolino fra un gioco e l’altro: l’estate andava sfumando e la frase di mamma “encora quindese di e dopo se tiron in du” appariva in tutta la sua cruda realtà. Ed un pò di malinconia rendeva meno allegre quelle giornate che restavano da trascorrere lassù fra le Magiche Dolomiti.