LA FRONTIERA
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“…bondì, me fa vintimila…”…”normale o super?”…”super super…”. Il distributore Agip del Peron offriva suggestioni di vecchio West. L’ultimo approdo prima di inoltrarsi nella natura selvaggia della Strada Madre. Anche lo stesso abitato assomigliava ai villaggi di frontiera che vedevo nei film di Sergio Leone: un rettilineo e poche case a bordo strada. Ma noi non dovevamo dare la biada ai cavalli: dovevamo abbeverare la 127 color del cielo che ci avrebbe portati a Cencenighe. E l’asfalto del rettilineo tremolava al sole d’estate mentre papà accelerava uscendo dal distributore. Poi si arrivava al curvone a destra ed era davvero Route 203. Perché per me il vero “viaggio” verso l’agordino iniziava proprio dopo il rettifilo del Peron. Si correva circondati dalle montagne colorate d’estate. Candaten con i prati falciati di fresco, poi La Stanga con la centrale e la successiva serie di curve “sot le crepe”. Al curvone a destra, “chel del casel” poco sotto La Muda, la 203 iniziava a salire leggermente. Eravamo esattamente a metà del nostro percorso e quello era un punto importante della Strada Madre. Lo si notava dalla vegetazione che iniziava a mutare ed dal nostro agordino che iniziava a farsi sentire. Al “Ponte della Palanca” c’era sempre una bandiera italiana issata su di un pennone a lato strada. Eravamo al confine: alla fine di quel piccolo ponte terminava la Valbelluna ed iniziava ufficialmente l’Agordino. Si passava dal comune di Sedico a quello di La Valle. Ed io ero convinto che La Muda fosse in comune di Agordo e papà invece mi spiegava che i confini spesso fanno dei giri strani. Che io non sapevo nemmeno dove fosse questo paese che si chiamava La Valle, perché noi a Ponte Rova tiravamo sempre dritti verso la piazza con la chiesa dai due campanili. La Muda: che posto!! Il passaggio per la frazione lavallese durava pochi secondi, che allora non c’era alcun limite di velocità e tantomeno l’autovelox. “…qua no sta quasi pì nesuni ormai…” Così mi diceva papà mentre osservavo quelle case quasi tutte deserte. Anche la chiesetta aveva un’aria malinconica ed un po’ dimessa. Eppure La Muda era stato un luogo importante un tempo: era qui che i viaggiatori provvedevano al cambio dei cavalli per continuare il loro peregrinare fra i monti diretti chissà dove. Da La Muda in poi il percorso diventava impegnativo e c’era bisogno di cavalli freschi per affrontare le difficoltà delle allora preistoriche strade agordine. Anche Marin Sanudo alla fine del ‘400 probabilmente avrà avuto un cavallo nuovo a La Muda. Soltanto che percorse in sella al quadrupede solamente quattro km prima di pronunciare la famosa frase “…non si pol andar a cavalo; bisogna dismontar…”. Era arrivato ai Castei, dove ai suoi tempi il transito era piuttosto complicato, tanto da doverlo obbligare a scendere da cavallo. Per noi invece era un po’ più semplice, che di cavalli ruggenti sotto il cofano ne avevamo ben 47 e papà li usava tutti salendo lungo la “riva”. E l’Agner sullo sfondo era la prima grande montagna agordina che potevamo ammirare. Scollinato il dosso sotto i paravalanghe ci sentivamo a casa. Era quello il nostro vero confine: con la Casa Cantoniera e la curva di uscita dal ponte da fare in seconda con le gomme che quasi fischiavano. “…fra en quarto d’ora sion sù…”. Era così il varcare la frontiera che portava nella mia Terra Felice…Magiche Dolomiti!!