ROMANO E IL SILENZIO (storie di fantasia ma non troppo dal lockdown)
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Romano vive lassù, dove il sole d’estate scavalca il Pelsa poco dopo le otto. E’ nato nella casa dove abita, situata in una piccola frazione con poche case ad ancor meno persone. Corporatura robusta, baffo ingrigito ed un po’ di mal di schiena “ma no me lamente pi de tant, le ki che sta pedo ala mè età…” Che l’età è quasi settanta ma portati bene. Romano è il guardiano di un mondo di silenzi dove il Coronavirus è solo un’idea sfuocata, per lui. Che vive da sempre in una quarantena perenne fatta di solitudine e tacere. Cordiale, di poche parole che escono centellinate da sotto il baffo. Centellinati sono pure i soldi della sua pensione. Quella “minima” che un giorno ha scelto lui stesso. Quanti soldi gli sarebbero serviti al mese per vivere la sua vita di silenzi? Non tanti, quelli che avrebbe guadagnato gli sarebbero bastati per ciò che desiderava. Avrebbe sicuramente guadagnato altre cose che avevano ed hanno più valore. Romano vive da solo, un po’ per scelta ed un po’ perché il destino ha deciso così. Libero di prendere le sue decisioni, libero di avere tempo per vivere la sua vita di silenzi. Perché l’ha capito in fretta che l’avere tempo è una delle più grandi ricchezze. Il suo è un vivere ordinato, scandito dalle stagioni che lassù sono ancora stagioni normali. Con gli autunni colorati e gli inverni dove la neve si fa vedere ancora abbastanza spesso. I lavori da fare intorno a casa scandiscono le sue giornate: il grande orto con le file tirate con lo spago, d’estate l’erba da tenere rasata come su di un campo da golf. E poi la legna, accatastata in ordine a tonnellate. Messa a stagionare secondo una logica precisa, appresa dai suoi genitori e dai suoi nonni. Qualche ora di lavoro alla settimana per assicurarsi il calore sprigionato dal “fornel” nella stagione dove i silenzi sono ancora più silenzi. Una vita quasi autarchica, pressoché autosufficiente. La legna, le uova delle quattro o cinque galline. La verdura del grande orto. Il resto lo compra quando scende in paese con l’Ape. Poi ritorna su a curare i meli che ogni anno gli regalano piccoli e succulenti frutti che vanno a profumare la cantina. Verso la fine dell’autunno, quando i larici sono ormai spogli, l’acquisto di un po’ di carne per “fa su en cin de becaria”. Giusto per mantenere un po’ la tradizione e gustarsi qualche salame e “…’npoche de luganeghe”. Romano non ha frequentato le “scole alte”, non è laureato in psicologia. Ma lo sa bene che la solitudine può essere una compagna cattiva. Tanti, troppi ne ha visti finire male. Vite lasciate cadere nel baratro dell’alcool, nell’inedia del far sempre meno fino a spegnersi. Un bicchiere di rosso a pranzo ed uno a cena. Sveglia all’alba e la sera a dormire presto. Che la TV ce l’ha ma la guarda poco, giusto per sapere cosa accade aldilà di quelle montagne che sono la sua vita. Il tenersi in ordine, con le sue camicie a quadri ed i suoi jeans fuori moda ma sempre puliti. Un’essenzialità curata e voluta. Una vita che ha avuto il coraggio di scegliersi, un rallentare il ritmo quando il mondo stava accelerando sempre di più. Romano non è maestro in niente ma è maestro in tutto. Laureato con lode nella gestione di quella cosa che spaventa il nostro mondo iper-connesso e che si chiama solitudine. Romano avrà sentito parlare del Coronavirus. Si sarà pure fornito di guanti e mascherina per quando scenderà in paese a fare la spesa. Se scenderà. Forse per un bel po’ in paese non vedranno nemmeno arrivare l’Ape verde. Rimarrà lassù, a vivere la sua perenne quarantena curando l’orto e spaccando le sue “legne”. Ed un mezzo sorriso apparirà sotto il baffo. Perché, alla fine, aveva ragione lui.