NUOVOLE DI MAGGIO
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Il tempo sembrava rallentare fin quasi a fermarsi. Eppure la pendola batteva il suo tic-tac normale. Forse era colpa delle nubi che andavano rapidamente a celare le montagne. Salivano veloci dal fondo della Val Cordevole. Inghiottivano prima Ghisel e poi Colaz e poi si preparavano alla difficile scalata dell’alta parete del Pelsa. Non esisteva difficoltà per loro nel salire la liscia parete di roccia grigia. Non c’era alcun sesto grado che potesse metterle in difficoltà. Arrampicavano leggere lungo l’aggettante parete, agili e veloci come nessun uomo potrebbe. Dopo aver coperto i silenziosi boschi di larici appena inverditi dalla primavera si impadronivano pure della grande montagna. In breve avrebbero raggiunto le banche sotto le lunghe creste. Lassù era ancora inverno. Con la neve ormai sfinita che di lì a pochi giorni si sarebbe gettata nel baratro fin quasi a raggiungere il Cordevole. Accadeva verso la fine di aprile nei pomeriggi di sole. Un colpo secco e poi un rombo crescente dava voce a quel solenne spettacolo naturale. Era la “levina della fava”. Il segnale che la primavera era finalmente davvero primavera. Il momento “de scominzià a fa valk inte in te camp”. Ma non era ancora il tempo della grande “levina”. Le nuvole lassù avrebbero portato ancora neve. Neve pesante, bagnata. Poi, dopo poco, il Pelsa era completamente scomparso ed una pioggia sottile ed insistente bagnava i prati e la provinciale. Erano attimi in cui anche la pendola forse avrebbe desiderato fermarsi ad ascoltare quel silenzio di nubi pesanti e pioggia leggera. Era primavera ma si era ritornati in un quasi inverno. Qualcuno usciva di casa con l’ombrello e la cesta per la legna. Poi rientrava velocemente e, dopo qualche minuto, si sarebbe alzato dal camino il fumo bianco che presto si sarebbe perso nel grigiore che ormai stazionava sopra i tetti delle case. Era il momento “de butà doi legne inte fok” anche per noi. Poi, sarebbe stato un lungo attendere l’arrivo di un’altra sera di nuvole e silenzi.