BELLUNO Al collega Sostene Schena, che non a caso è stato il mio vice quando ero a capo della redazione de Il Gazzettino, mi legano da lustri sentimenti di grande amicizia tanto da avergli chiesto, a suo tempo, di essere il padrino di mio figlio Marco. Detto ciò, è con grande piacere che anticipando il suo nuovo libro di prossima (speriamo) pubblicazione, gli ho chiesto di parlarmi della famosa storia dei “Colombi colorati di Ponte nelle Alpi” che tanto tempo fa ha avuto per protagonista la sua famiglia. Schena ricorda: “I nostri colombi, negli anni Sessanta sono stati per un periodo abbastanza lungo al centro dei media di tutto il mondo (o quasi) e non esagero! La stampa, e non solo italiana, ospitò infatti articoli di inviati speciali tra i quali, per il Gazzettino di cui ero collaboratore precario, un pezzo da novanta come Vittorio Cossato che ammiravo molto per la sua abilità nella cronaca politica ma ancor più nel ‘colore’. Un giorno, forse a corto di argomenti, chiese a me, come avrà fatto con altri, se ero a conoscenza di qualche episodio interessante o anche semplicemente simpatico da cui ricavare un servizio…”. Il racconto di Sostene Schena è nitido: “Gli esposi la storia dei colombi colorati della nostra famiglia, a Ponte nelle Alpi; incuriosito e meravigliato e un po’ infastidito perché non gli svelai il segreto che si celava dietro questa – chiamiamola così – stranezza, mi disse: ‘Siete peggio del vostro illustre concittadino, Girolamo Segato, morto con il suo grande segreto portato nella tomba…’”. L’articolo di Cossato apparve in terza pagina pochi giorni dopo con il titolo “Una storia di colombi che sarebbe piaciuta a Trilussa”: Il pezzo fu ripetuto su La Gazzetta del Mezzogiorno e altri quotidiani e riviste nazionali. Ancora Schena: “La notizia si sparse per l’Italia e anche all’estero; per quello che ne so – ne scrisse anche qualche giornale tedesco e “le Petit Parisiènne” ma perfino un giornale giapponese; venimmo a saperlo proprio da chi aveva letto l’articolo e passando per Ponte si fermò per vedere i colombi. Era stato un ottimo ‘affare’ per il nostro bar Roma e il negozio della famiglia: per un certo periodo infatti molti pullman di turisti diretti a Cortina si fermavano per vedere i colombi; noi dovevamo fare solo qualche fischio e buttare alcune manciate di grano turco sul piazzale dove i colombi, atterravano come dei pappagalli dell’Amazzonia; per noi era un piacere questa specie di ‘concorrenza’ ai piccioni di Piazza San Marco… e non era l’unica soddisfazione”. Le domande che tutti facevano alla famiglia Schena, naturalmente, erano sempre le stesse: si tratta di incroci?, iniettate dei colori nelle uova?, pennellate con qualche colorante particolare? La risposta era sempre la stessa: è un segreto!. Ma come era nata questa storia? La parola ancora all’amico Sostene: “Subito dopo la seconda guerra io e miei fratelli (in particolare Eros) eravamo appassionati nell’allevare animali; i miei zii di Gosaldo ci regalavano in primavera giovani merli, gazze e in particolare le ‘ghiandaie’ dai bei colori bianco, marrone ed azzurro; poi si cominciò con i colombi anche per la passione dei ‘viaggiatori’: portarli lontano e vederli tornare nella loro soffitta in brevissimo tempo; il nostro cruccio principale era quello di vederli andare sotto le auto che passavano proprio davanti il negozio… Poi un bel giorno vedemmo alcuni dei volatili uscire colorati di rosso, giallo, blu dal magazzino nel quale in grandi contenitori di legno tenevamo le polveri che servivano ai pittori per creare i vari colori mescolandoli con olio di lino o acqua; accanto a quei contenitori ce n‘erano altri, uguali, che contenevano invece riso, granoturco, frumento, biada etc. Sicché ogni qualvolta un colombo sbagliava contenitore usciva colorato di giallo ocra, di ossido di ferro rosso, di blu oltremare… Questi colombi ‘auto-colorati’ attiravano l’attenzione degli automobilisti e si risparmiavano una brutta fine. Ed ecco dunque nascere in noi l’idea di colorare i colombi in un modo che la ‘pittura’ non fosse così ‘volatile’ come quella che si procuravano accidentalmente i nostri piccioni. Seguì una lunga ricerca, molte sperimentazioni e alla fine si scoprì la soluzione ideale per evitare una brutta fine ai nostri amici. Poi un giorno capitò che si fermasse per un panino al prosciutto un anziano signore romano (accompagnato da una donna non più giovane ma biondissima) che chiese a mio padre di chi fossero quei colombi colorati fuori sulla piazza. ‘Sono dei miei figli – rispose papà Teofilo – perché me lo chiede?. ‘Perché vorrei sapere come hanno fatto a dipingerli; sappia che io sono il presidente nazionale dell’Associazione in difesa degli animali e quindi ho interesse … e diritto di sapere che i colombi non soffrano o non abbiano sofferto’. Mio padre rispose che non sapeva come noi figli fossimo riusciti nella trasformazione ma, dopo essersi informato su chi fosse l’accompagnatrice del personaggio romano e aver saputo che era sua moglie, gli disse: ‘Allora, vista la capigliatura della sua signora, cominci a difendere lei!’”. E qui il ricordo finisce. Poteva scapparci una querela e – lo ammetto – non ho avuto il coraggio di chiedere all’amico Sostene come andò a finire per papà Teofilo e per i protagonisti della storia: i colombi colorati di Ponte!
NELLE FOTO (Archivio famiglia Schena): il giornalista Sostene Schena; la casa con negozio e bar nella via Roma; i famosi colombi di Ponte nelle Alpi; il papà di Sostene, Teofilo, posa con… i colombi (evidente passione di famiglia) quindi Rina, Abele ed Oristilla, l’11 settembre 1924 a Venezia.