FALCADE Soffermandoci sul capitolo “Gente di quassù” concludiamo la lettura-visione di “Quando a Falcade la meridiana segnava il tempo”, prezioso album di immagini del 1890-1930, del quale è stato autore l’editore-scrittore falcadino Bepi Pellegrinon che lo ha dato alle stampe (Litografia Antiga di Crocetta del Montello) a cura del Comune di Falcade e con il contributo della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, nell’estate del 1982, in occasione della mostra fotografica “Falcade com’era”. Ricordato che l’autore ha dedicato il suo lavoro “alla mia gente” nella consapevolezza, evidenziata dall’allora sindaco Girolamo Serafini, che sia indispensabile “conoscere il passato per comprendere meglio il presente” non trascuriamo certo di ripetere quanto ha scritto Pellegrinon, fra l’altro, in presentazione del libro: “Va dato merito, altissimo merito a questa gente, che si è scrollata di dosso le vecchie antiche abitudini ed i vecchi antichi bisogni. Si è creata una nuova mentalità, si è migliorato il tenore di vita proprio e dei propri figli ed ora si guarda al futuro con minore ansia e con maggiore sicurezza”. Ed ecco la carrellata di immagini (autori delle foto pubblicate sul libro dopo una selezione di quelle esposte nell’allora vetusta sala della Cada del Popolo:Arturo Andreoletti, De Marchi, Eugenio Ganz, Ispettore delle Poste di Vicenza e Belluno nel 1890, Giovanni Luciani, Giuseppe Pietrobelli, Vincenzo Piatti, Antonio Sanmarchi, Giovanni Battista Unterweger ed un artista rimasto sconosciuto). La prima è così commentata da Pellegrinon: “1908. La coralità della nostra gente unita di fronte al dolore. Quando moriva un bambino si dice va che ‘se fa nòza’. Come ha ben scritto Livia Tognetti Cagnati, il morticino, coperto dei suoi abiti più belli, veniva adagiato sopra un tavolo opportunamente allestito nella ‘stua’. Ai bambini che andavano a salutarlo (‘sègnà) veniva appuntata sul vestito una coccarda intrecciata di nastrini di tanti colori. Nel tragitto per il funerale, mentre la campana suonava a ‘campanòt’ con tocchi veloci e festosi, la madrina portava sulle braccia la piccola bara scoperta che veniva chiusa in cimitero prima della sepoltura. A funerali finito la famiglia invitava parenti ed amici in casa o in qualche osteria dove veniva di consueto offerto pane e vino. L’immagine mostra la dignità e la composta rassegnazione per il dolore, proprie delle nostre genti. Siamo nel 1908 ai funerali di Valt Santa. Attorno ai ‘santoi’ si stringono i parenti stretti: la zia Carolina, la zia Orsola e la mamma Caterina a destra, attorniate dai loro figlioli. In alto a sinistra la sagoma inconfondibile della Orsola Scursora, vedova di Francesco Zandò, morto sepolto da una valanga di neve assieme ad altre 7 persone, il 14 marzo 1892 in località Crepa Granda a Cencenighe”. Di seguito: “1912. Operai falcadini a ‘leizinpòn’ che vuol dire posto di lavoro. I nostri muratori si sono fatti onore in tutti i paesi d’Europa e d’America, contribuendo con la loro maestria ed il fervore operoso, a rinnovare, abbellendolo, questo nostro mondo. In questa immagine si riconoscono Anselmo Bulf, Bastian Moneghin, Guido Fanina, Gigio Zucot ed altri, durante una pausa”. Altra dicitura: “1923. Tredici lavandaie della Valle del Biois a Venezia, fra le quali, assieme a giovani di Canale, Garés e Vallada, anche la Mansueta Morèla e la Giuditta Luzzina. Era Bortola Tancon Luciani, madre di Giovanni Paolo I a preoccuparsi della sistemazione delle giovani presso il Convento delle Elisabettine. Sono lontane dai loro paesi, ma unite dalla comune origine valligiana”. Questa la descrizione della foto successiva: “1913. Giungeva in paese due volte all’anno, in primavera e d’autunno. Lo stagnino, originario del Cadore, rattoppava paiuoli, secchie, pignatte, pentole e ‘stagnade’. Il lavoro non mancava di certo, per un artigiano così prezioso ed originale per i bisogni delle case del tempo”. Ancora: “1925. C’è un po’ di posa nell’atteggiamento delle due contadine nostrane, ma gli arnesi rustici confermano il legame con le nostre origini bucoliche. Falcade, da falce, luogo adatto alla falciatura dell’erba. Il lavoro delle donne era in gran parte indirizzato all’agricoltura, dedicandosi gli uomini ad altre attività. C’è in queste due paesane la coscienza del lavoro che si riflette nella rigidezza, forse un po’ statica della foto. Ma la testimonianza è autentica”. Altra descrizione: “1906. Evviva san Marco! Il 25 aprile di ogni anno per festeggiare S. Marco e quindi rendere omaggio alla Repubblica Veneta, i fanciulli di Falcade, muniti di vessilli sventolanti drappi e fazzoletti da testa, rossi o vistosi per lo più. Percorrevano in gruppo le strade dei villaggi per radunarsi a La Foca. Quindi salivano ai Zei o a La Mandra ove avveniva una battaglia non tanto simulata; il capoluogo contro quelli di Pedefalcade e Molin. Sembra che i più bellicosi fossero quelli di Somor detti ‘ors’ per via della loro fierezza. Al grido frequente di viva S. Marco i duelli iniziavano e si rinnovavano per tutta la giornata, a conclusione della quale i giovani guerrieri ritornavano alle famiglie, tutti vincitori”. Altro gruppo: “1907. Falcadini nel primo decennio del secolo. Si noti la presenza di donne e bambini. Le forze valide (uomini e giovani) sono al lavoro, magari emigrate oltre oceano in cerca di fortuna. In questo gruppo c’è il dramma di chi è rimasto solo e indifeso. I padri e i mariti sono lontani”. E un altro gruppo ancora: “1911. Davanti al Tabià dei Scola a Molin si è radunato mezzo paese. Anche qui solo donne e bambini, con l’eccezione del Betabèla, ormai in età avanzata. Certo l’Eugenio Orsolin avrà avuto il suo bel daffare a far entrare tutti nell’obiettivo. Mi sia consentita una nota personale: con ogni probabilità, il ‘bocia’ a sinistra in primo piano è mio padre Valentino”. Ora le donne: “1908. Ancora a Molin le giovani grazie locali in una foto di gruppo. Le 15 sono nell’ordine da sinistra in alto: Virginia Scola, Graziosa Scola, Lucia Scola, Angela Scola, tutte dei Fossài; Giuseppina e Maria Scola dei Mondi, Maria Piccolin Pétola, Maria Fol dei Tei, Amabile Piccolin Ciauzéta, Rosa Scola dei Marta, Giovanna Piccolin dei Remigi. Quindi i bambini: “1920. L’arcigno maestro Lorenzo Parissenti di Frassenè, è famoso presso gli anziani per aver insegnato per molti anni ai nostri giovani a leggere e scrivere. Eccolo ‘presentare’ gli scolari, affatto intimoriti, delle classi 1908-1911. Si riconoscono Giacomo Serafini, Giuseppe Scola Cròntol, Piero Cagnati Fasàn, Giuseppe Ganz Pascalin, Ferruccio Cagnati, Liberale De Valliere Malòra, Giuseppe Strim Zègol, Albino Costa Gambarèla, Espedito Costa Menegazzo, Mansueto De Pellegrin, Stefano Stgrim Zègol, Giovanni Scola Mastelèr, Dante Nart, Riccardo Murer, Cherubino Genuin, Valentino Micheluzzi Duca, Attilio Piccolin General, Rodolfo Scola Mastelèr, Vittorino Pellegrinon Boldo e Gino Strim Zègol”. Tocca ai cacciatori: “1910: Conoscitori di ogni ‘posta’ e di ogni passaggio della fauna avicola e selvatica e quindi cacciatori e bracconieri appassionati e valenti, Piere Cristin, Eustacchio ed Emilio Costa Gata posano con il loro trofeo, questa volta un capriolo. La caccia era allora più che uno sport dei danarosi, una lotta per l’esistenza”. Di nuovo le giovani: “Si intravvede in queste giovani falcadine di Azione cattolica di sessant’anni fa una notevole forza interiore che le aiuterà lungo gli aspri sentieri della vita: la fede”. E quindi i preti: “1925.Val Biois terra fertile anche di sacerdoti e di vocazioni religiose. Davanti alla canonica di Falcade Alto sono schierati: don Domenico Andrich, don Casagrande, don Giosuè Fagherazzi, Padre De Grandis conventuale di Padova, don Augusto Bramezza, Giuseppe Strim, un non identificato, Saba De Rocco, Angelo Strim, Giacomo Viezzer, Bernardo e Sebastiano Tomaselli, Giovanni Murer, Albino Luciani, Igino Tomaselli, Felice Tomaselli e Erminio Scola”. Per concludere: “1925. Ai Giosafat, fa bella mostra di sé una Torpedo Spa Spider dei fratelli Da Pian di Alleghe. Si apre un nuovo avvenire che pare lasciare indifferente il maestro Emilio Cagnati che continuerà ad andare a piedi!” e, sempre del 1925: “Giovani falcadini dell’Azione cattolica. Il sentimento religioso è molto radicato fra la nostra gente ed è parte integrante di un modo di vivere sereno e laborioso”.