“Paesaggi di pietra. Lavorare la pietra lungo il medio corso del Piave” è il titolo di un libro fotografico di 60 pagine a cura di Stefano De Vecchi, stampato nel novembre 2001 dalla tipolitografia editoria Dbs di Rasai di Seren del Grappa in provincia di Belluno nell’ambito del progetto finanziato dalla Comunità europea attraverso il Fondo europeo di sviluppo regionale, anche col contributo delle comunità montane Val Belluna, Cadore Longaronese Zoldano, Agordina, Feltrina e dell’Alpago, per il coordinamento di Daniela Perco, direttrice del Museo etnografico della provincia di Belluno. Nell’introduzione De Vecchi precisa che il lavoro è articolato in capitoli tematici dedicati all’uso tradizionale della pietra “mirato alla del Piave comprendente Longarone, Alpago, Bellunese e Feltrino”. L’obiettivo della pubblicazione è la “sensibilizzazione al problema della conservazione delle qualità di un paesaggio, in cui l’intervento dell’uomo è stato caratterizzato da un costante sapiente utilizzo dei materiali lapidei: ciò con la convinzione che la diffusione nella popolazione di una nuova sensibilità verso le radici storiche e culturali locali porti ad una riconsiderazione delle più genuine manifestazioni della cultura materiale, pur nella innovazione”. La conclusione: “In questa complessa opera di restauro territoriale, nella quale parte fondamentale hanno i piccoli interventi fatti giorno dopo giorno dalla popolazione, gioca parte considerevole l’uso appropriato dei materiali della tradizione. E la pietra, in questa vallata, è il materiale al quale tanta espressività e creatività è stata affidata dalle culture del territorio”. “Paesaggi di Pietra” si articola in vari capitoli, primo dei quali è “Pietra i identità locale” in cui si evidenzia fra l’altro che: “… Nuove tecniche di cava e lavorazione assai sofisticate rendono il materiale duttile e portano il costo a livelli accessibili, vicini a quelli delle pietra e dei manufatti di importazione”. Viene poi: “Il territorio, la pietra ed il sasso” e a seguire: “Tradizioni di un sapere” in cui si ricorda che: “Il mestiere di cavatore, scalpellino e muratore fu da sempre l’altra professione del contadino della Val Belluna e fu la principale laddove la qualità della pietra cavata assicurava continuità di lavoro e guadagno nell’alimentare il fabbisogno delle città”. E siamo a “Pietra oggi” dove si può leggere che “La maggior parte della pietra viene utilizzata come inerte per la produzione di calcestruzzi; è in prevalenza ricavata da cave o operazioni di disalveo del Piave e dei suoi affluenti” ma esistono ancora un buon numero di cave capaci di fornire i materiali necessari al consumo locale: cava di Castellavazzo (con pietre conosciute e diffuse anche al di fuori del territorio bellunese grazie alla qualità), della Secca, Losego e Cugnan a Ponte nelle Alpi, Canalet di Pedavena…”. Altri capitoli: “Lavorazioni” in cui si sottolinea che “La stessa pietra può assumere caratteristiche estetico percettive assai diverse a seconda della lavorazione a cui viene assoggettata, alla composizione delle venature e agli accostamenti cromatici”: “La pietra e gli edifici” in cui si richiamano, col supporto di immagini, le diverse soluzioni adottate nella tradizione del costruire, ordinate nei seguenti elementi: Orditure murarie (le più diffuse sono: il muro comune, senza corsi e con pietrame irregolare; quello irregolare ma con posa del pietrame a corsi; il muro a conci squadrati), portali e finestre (con l’uso della pietra a vista per la sola architrave), incorniciature di fori, mensole, balaustre, pavimentazioni, con la precisazione che “le pietre maggiormente utilizzate sono quelle che offrono maggior portanza strutturale e resistenza all’aggressione degli agenti atmosferici, in specie al gelo, come i calcari compatti”. Tocca quindi a “La pietra e le città” (si cita l’esempio di Piazza Duomo di Belluno “contornata da edifici caratterizzati dal copioso impiego del materiale lapideo, dal basamento del campanile dello Juvara al colonnato del Palazzo dei Rettori alla facciata del Duomo per finire alla fontana e al pozzo”); “La pietra ed il paesaggio” (richiamo ai “Murazzi” di Longarone e ai terrazzamenti per la coltura della vite nel basso Feltrino); “Muri di recinzione e di sostegno”; “Pavimentazioni” (si ricorda che strade e piazze risultano per lo più eseguite in origine in terra battuta, contornata ove necessario da cordonate in pietra. Solo in un secondo tempo gli spazi più praticati furono pavimentati con acciottolato o spezzoni di lastre posti a coltello; pavimentazioni in lastre di pietra sono assai rare, se si eccettuano le parti porticate delle vie urbane ed i marciapiedi per i quali si faceva ricorso a pietre ‘morte’ che, seppur meno resistenti al gelo di quelle calcaree, erano meno scivolose in caso di pioggia o neve; le pietre venivano periodicamente lavorate da uno scalpellino al fine di renderne la superficie corrugata”). Gli ultimi due capitoli sono riservati a “Fontane” e “Coperture”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Paesaggi di Pietra”): l’immagine di copertina della pubblicazione; particolare di un portale a Cirvoi; la cava di Castellavazzo ad inizi ‘900; bifora in pietra su muratura di fabbrica a Sagrogna di Belluno; portale di Anzù; pietra largamente usata nella Piazza di Feltre; fontana a Faverga; copertura di Tambre, in Alpago.