di RENATO BONA
“Selva di Cadore come era” (Selva da nosakàn”). E’ il titolo di un prestigioso volume di oltre 270 pagine che nel novembre del 1993 la tipografia Piave di Belluno ha stampato per conto dell’Union de i Ladiñ de Selva. L’autore? Un amico carissimo, che considero da sempre il mio padre spirituale: il prof. don Lorenzo Dell’Andrea, uomo di profonda cultura, dal tratto gentile, che oltre ad aver diretto per lustri il settimanale diocesano “L’Amico del popolo” è stato – fra l’altro – consulente ecclesiastico del comitato bellunese del Centro sportivo italiano quando, ragazzino, giocavo a pallone; poi mio insegnante di religione alla ragioneria “Calvi” e quindi anche mio collega giornalista professionista. Dell’Andrea in presentazione ricordava che nell’agosto 1985 L’Unione dei Ladini di Selva “ha allestito una mostra di vecchie fotografie di paesaggi, case e persone di Selva. La mostra ebbe grande successo e molti furono coloro che chiesero la pubblicazione del materiale esposto”. Il desiderio venne quindi soddisfatto otto anni più tardi, fra l’altro con l’aumento delle foto: da 162 a poco meno di 400, suddivise per grandi temi in sette sezioni, ciascuna delle quali “dotata” di una nota introduttiva anche per “offrire indicazioni generali e spunti di riflessione per integrare, con qualche chiave interpretativa, la lettura delle fotografie”: territorio, case, stalle e fienili, progresso, lavori, scolaresche e coscritti, soldati ed emigranti, avvenimenti vari, volti e tradizioni. Viene anche reso omaggio a quanti collaborarono all’allestimento della mostra: Anna Lorenzini dei Svaldi, Raffaella Dell’Andrea, Aristide Bonifacio, Renzo Nicolai, Severina Monico; altri grazie per chi ha poi collaborato con informazioni e suggerimenti per il libro: ancora Bonifacio e Nicolai, quindi Luigi Callegari, Cesira Nicolai, Rudele Bonifacio, Espedito Callegari, Giorgio Lorenzini, Sergio Monico, Elide Cadorin; per le famiglie che hanno messo a disposizione tante fotografie così come per la Direzione del Museo di Selva, e per Ugo Lorenzini “che ha messo a disposizione per una ristampa, curata dall’Union de i Ladiñ de Selva tutti i negativi su vetro ancora conservati delle fotografie fatte dal nostro compaesano Fedele Chizzolin, che negli anni attorno alla prima guerra mondiale (prima di ritornare in America nel 1924) ha esercitato a Selva l’arte del fotografo…“. Partiamo dunque dal capitolo “Il territorio” nel quale – dopo aver ricordato che “… questo ambiente, sostanzialmente sempre identico nonostante l’alternarsi di epoche fredde ed epoche più calde, per millenni fu animato solo da cacciatori. La loro presenza non era però significativa: non dovevano essere in molti e comunque erano sempre ‘di passaggio’” – Dell’Andrea scrive: “Verso la fine del primo millennio avanti cristo la valle cominciò ad animarsi: non più soltanto cacciatori, ma anche pastori. Greggi sempre più numerosi percorrevano le zone alte, oltre il limite del bosco, dove c’erano abbondanti pascoli, dalle zone del Passo Giau a Mondeval de Sora, da Possedera a Fertazza alle zone di Staulanza, Forada, Forcella Roan” e si chiede:”Da dove venivano questi pastori? Probabilmente dalle zone del Cadore, già abitato da alcuni secoli (tale provenienza trova un riscontro nell’appartenenza, dalla fine del primo secolo avanti Cristo, del territorio di Selva al Municipium romano di Julium Carnicum, e ha una prova storica inequivocabile nelle iscrizioni rupestri del monte Civetta, del Coldai e del Col Davagnin, proprio sul monte Fertazza”. L’autore prosegue il suo excursus sottolineando che “La situazione durò così, con cacciatori e pastori che animavano la vallata, per tutto il primo millennio dopo Cristo, fino all’epoca alto-medioevale quando avvennero alcuni fatti nuovi”: verso il 1000 dopo Cristo, in Val Fiorentina come nel resto delle vallate alte delle Dolomiti si è intensificata la presenza dell’uomo: non più i soli cacciatori e pastori ma anche boscaioli e ricercatori di minerali di ferro e piombo, tutta gente proveniente dalla Val del Boite, che dopo un periodo di consistenti insediamenti stagionali portò, verso il XII secolo dopo Cristo, ad insediamenti stabili e così il paesaggio, che era rimasto di fatto immutato per millenni, cominciò a cambiare per l’attività dell’uomo. Insediamenti stabili che dapprima erano rappresentati da piccoli nuclei i cui componenti, pur di restare in zona, pagavano un diritto di concessione alle Regole di Mondeval e di Festornigo di San Vito di Cadore proprietario della Val Fiorentina; poi si svilupparono in aggregati di diverse famiglie e dettero vita alla ‘vila’. Col rapido crescere delle famiglie si determinò l’allargamento degli spazi occupati dalle case della ‘vila’ e, conseguentemente, fu indispensabile sviluppare l’attività agricola per garantire la sopravvivenza della gente. Ma il territorio era poco e dunque si pervenne ad un consistente disboscamento oltre che alla concentrazione dell’attività edificatoria con la creazione di numerosi centri abitati. Si ricavarono in tal modo campi per coltivare cereali e fava, e prati che potessero fornire il foraggio per il bestiame. Alle attività agro-silvo-pastorali si aggiunsero dal XIV secolo quelle artigianali e industriali fra l’altro con lo sfruttamento delle miniere di ferro del Fursil a Colle Santa Lucia, e di quelle di Gruoipa nella zona dell’attuale cimitero di San Lorenzo a Selva. Come il gatto che si morde la coda, tutto ciò comportò “una notevole immigrazione e l’avvio di nuove attività come quella dei carbonai che producevano e trasportavano il carbone dolce, o dei fabbri per la lavorazione del ferro, per il quale funzionava addirittura una fonderia”. La nuova situazione determinò una ulteriore e profonda modificazione del territorio della Val Fiorentina e l’aumento della popolazione stabile costrinse ad estendere ancora una volta le terre coltivabili con gli abitanti di Toffol e di L’Andria che coltivarono campi fino a 1600 metri di quota raggiungendo con i loro seminati le località di Somasief e Pien de Colò; per la produzione del fieno furono reperiti prti ad alta quota in Fertazza, in Possedera e nelle zone alte soprastanti il paese (òe Frene). Ci si spinse fino a falciare i ripidi pendii, p ‘pale’ sottostantio le rocce dfel Piz del Corvo (Rivigo, Saulon, Palemoze) e sotto il monte Cernera (Pale de Matia, Palota), fino a raggiungere le disagiate e pericolosissime cengie )p ‘viei’) a duemila metri di altitudine. Negli ultimi secoli – prosegue il resoconto di Lorenzo Dell’Andrea – cessarono le attività legate allo sfruttamento delle miniere e vi fu un impoverimento generale che porto ad una forte emigrazione. L’aspetto del paese rimase sostanzialmente immutato fino a tutta la metà del secolo, cioè fino al secondo dopoguerra. Le ‘vile’ rimasero nelle stesse dimensioni dei secoli precedenti, campi e prati continuarono ad essere lavorati intensamente per la sopravvivenza, i pascoli fornirono alimenti preziosi per le centinaia di mucche del paese. Poi, a partire dagli anni ’60, tutto cambiò, dapprima lentamente poi vorticosamente. “Fino al punto che non solo oggi il ‘cacciatore di Mondeval de Sora’ non riconoscerebbe più la vallata, ma la troverebbe molto (o totalmente!) diversa perfino chi l’avesse vista per l’ultima volta soltanto quaranta o cinquanta anni fa”.
NELLE FOTO (Zanfron e riproduzioni dal libro “Selva di Cadore come era”): la copertina del volume con uno scorcio di Selva di Cadore verso la fine del 1800; il presidente dell’Associazione stampa bellunese, Renato Bona, porta il saluto in occasione dei 70 anni de L’Amico del Popolo” diretto allora da don Lorenzo Dell’Andrea (sulla destra); piazza San Lorenzo alla fine del XIX secolo (raccolta Aristide Bonifacio); Selva di Cadore nei primi anni del 1900; panoramica del paese nel primo dopoguerra; in primo piano il villaggio di Fiorentina abbandonato dopo l’alluvione del 1966; Selva di Cadore verso l’Averau; anni ’30, sullo sfondo, verso la Marmolada, Pian e Colle Santa Lucia; da Zardin si vedono, sotto la chiesa i villaggi di Villa e Foppa; scorcio di Villa, in primo piano la casa di Ettore Zulian Gras “amerikàn”; piazza San Lorenzo negli Anni ’20; la strada che dalla Passadora portava a Rova; Marin negli anni ’30; Zernadoi e Bernart negli anni ’30 con i caratteristici fienili; Mortize negli anni ’60; l’Andria nel 1975; Toffol visto dalla ‘barkonela del tabie de la Giustina de Tofol’; Santa Fosca verso la fine degli anni 30; la stessa frazione nel 1954, in primo piano l’Istituto elioterapico in via di completamento