di RENATO BONA
C’è un capitolo, intitolato “Progresso” nel libro “Selva di Cadore come era” (in ladino: “Selva da nosakàn”), del prof. don Lorenzo Dell’Andrea (edito con l’Union de i Ladiñ de Selva e la bellunese tipografia Piave nel novembre 1993) in cui l’autore esordisce affermando che “Il progresso è un concetto strettamente legato all’uomo il quale, grazie al grande dono dell’intelligenza che Dio gli ha dato, è in grado di utilizzare le risorse dell’ambiente per migliorare la qualità della vita”. Cita quindi come un primo esempio di “progresso” i cacciatori del Mesolitico di Mondeval de Sora che “8.000 anni fa hanno cacciato gli animali del nostro territorio per procurarsi il cibo, hanno realizzato i ripari naturali per il riposo, per proteggersi dalle intemperie e addirittura quale luogo per una sepoltura rituale”. Poi, detto che il “progresso” legato all’attività dei cacciatori e dei pastori recò vantaggi alla vita dell’uomo senza rilevanti modifiche al territorio e all’ambiente, Dell’Andrea ricorda che verso il 1000 dopo Cristo “inizia e si sviluppa velocemente una nuova fase di ‘progresso’ molto ‘aggressiva’ nei confronti del nostro territorio” con boscaioli e pastori, soprattutto di San Vito di Cadore, che nell’intento di migliorare le condizioni di vita si insediarono nella Val Fiorentina costruendovi case e stalle. Disboscando la foresta, dissodando il terreno per la semina della fava, dell’orzo, della segala, del frumento: allargarono via via le radure a danno del bosco per garantirsi anche prati per la produzione del fieno; ma non basta: lungo i torrenti, soprattutto sul Loschiesuoi che aveva sempre acqua ed era in posizione centrale rispetto alla vallata, furono realizzati molini per la macina dei cereali e della fava e la lavorazione dell’orzo e quindi fucine per la produzione locale di attrezzi e di quanto necessitava all’agricoltura. Altra opportunità di “progresso”, quella determinata dalla richiesta sempre più forte di legname dalla Repubblica di Venezia, con conseguente depauperamento del patrimonio boschivo. E, ancora: le miniere di ferro che portarono sì lavoro e dunque benessere ma… la lavorazione del ferro in zona necessitava di grandi quantità di combustibile cui si fece fronte con la produzione di carbone dolce con la tecnica del “poiàt”. Con la chiusura delle miniere lo sfruttamento del bosco cessò ma contestualmente peggiorò e non di poco la qualità della vita, dando origine al fenomeno migratorio. Una situazione di profonda crisi che si protrasse fino al secondo dopoguerra. Grande elemento di “progresso” fu la realizzazione delle strade per collegarsi con le altre vallate e quindi il turismo: “non più le grandi fatiche di una volta per avere appena di che sopravvivere, ma benessere generalizzato, buona o discreta disponibilità di mezzi finanziari, possibilità di tempo libero e, in ogni famiglia, tutti i comfort della vita moderna, dall’automobile alla televisione, dalla lavatrice al telefono”. Un “progresso”, scrive Lorenzo Dell’Andrea, che ha avuto un notevole impatto con il territorio e l’ambiente: l’abbandono dell’agricoltura e della pastorizia sta portando il degrado di pascoli, prati, campi, fienili, stalle e di quant’altro legato al ‘primario’, come ad esempio molini e fucine. Il bosco, che nei secoli scorsi per avere spazio vitale era stato tenuto lontano come una minaccia alla vivibilità dell’ambiente, sta ora rapidamente riconquistando vasti terreni accerchiando ogni anno di più tutti i villaggi…”. E conclude: “Ecco dunque una domanda: quello di oggi è davvero ‘progresso’ o non rischia invece di ritorcersi negativamente, come un boomerang, finendo per peggiorare anziché migliorare la ‘qualità della vita’ di Selva?”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Selva di Cadore come era” di Lorenzo Dell’Andrea): il sentiero della Forada nei pressi della Forcella e del capitello di S.Antonio; passaggio pedonale sul torrente Cordon; il “pont de Tofol”; ponte di legno sul Fiorentina; fluitazione di tronchi negli anni ’20; nel 1880 iniziano i lavori per la strada di Marzeluch; strada della Staulanza verso gli anni ’20; e quella di Passo Giau, aperta nel primo dopoguerra; il vecchio ponte di legno sul Codalonga; la corriera per Selva tra due muri di neve nel 1951; il medico condotto Antonio Bressan con Taddeo e Silvana Torre accanto alla vecchia “Balilla” negli anni ’30; una delle prime automobili giunte a Toffol, lungo la strada di Perazze circa l’anno 1920; ed una delle prime biciclette sulla strada di Selva (fra i pochi che dalla Grande Guerra ne fecero uso, a servizio della comunità, Luigi Nicolai “Gigo Cursòr” che per decenni percorse instancabile tutte le strade del paese, foto Fedele Chizzolin, raccolta Union de i Ladin de Selva); Maria De Mattia con la gerla ed un vaso forse del latte (raccolta Maria Grazia Callegari); carro di fieno trainato da mucche a Pescul verso la fine degli anni ’20 (raccolta Raffaella Dell’Andrea); Fausto Nicolai alla guida della slitta con un carico di legno (raccolta Dorina Monico Nicolai); Angelo De Zenero e Dino Dall’Acqua con slitta trainata da un asino (raccolta Remo De Zenero); Mauro Angeli con il camion dei Canciani di Caprile nella piazza di Selva verso il 1930 (raccolta Elisabetta Callegari).