di RENATO BONA
BELLUNO Il legname divenne fonte primaria di sostentamento per le popolazioni La notizia di oggi, martedì 29 settembre 2020, nel Corriere delle Alpi delle Alpi, quotidiano di Belluno, col titolo: “Cesiomaggiore. Danni di Vaia un milione e mezzo di lavori affidati per le riparazioni”, specifica che: “saranno ripristinati tre ponti messi fuori uso in Val Canzoi. Finanziata la messa in sicurezza di varie zone del territorio” e personalmente mi offre il destro per tornare alla pubblicazione “Lungo il Piave civiltà di un fiume” edito nel 1994 in occasione della mostra proposta da maggio a novembre di quello stesso anno a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta, dall’Associazione culturale Lombardo-Veneto, Fondazione G.E. Ghirardi, Fameja dei zatèr e menadàs del Piave, Centro internazionale di studi sulle zattere e Circolo Nautico Generali. Perché c’è un capitolo, “Il bosco”, in cui si ricorda che “Conosciute e sfruttate fin dall’epoca romana, se non prima, le grandi riserve di abeti e larici del Cadore e del Bellunese furono sempre tenute nella massima considerazione dalle autorità che ne ebbero successivamente la giurisdizione. Numerose e puntuali furono le leggi e i regolamenti emanati fin dall’epoca longobarda per la tutela, ‘coltivazione’ e gestione del patrimonio boschivo. Particolarmente accurati e severi furono quelli perfezionati a partire dal XV secolo XV allorché Venezia assunse il diretto controllo di gran parte dell’arco alpino nord-orientale”. Una realtà, bisogna pur dirlo, che contrasta nettamente, come hanno confermato le “denunce” di amministratori locali e cittadini (in proposito non si deve trascurare che dopo giorni di piogge intense, la tempesta Vaia ha avuto il suo massimo impatto sul Triveneto il 29 ottobre del 2018: venti fino a 200 km/h e precipitazioni record hanno causato la caduta di oltre 10 milioni di alberi e danni per quasi 3 miliardi di euro oltre alla perdita, solo nel Bellunese, di 5 vite umane!), con quanto si è registrato negli ultimi lustri, relativamente ad interventi necessari, in qualche caso urgenti ed irrinunciabili, che per varie ragioni che non spetta a noi giudicare, non sono stati effettuati. Ed il ricordo di Vaia e delle sue rovine, con danni immensi proprio al patrimonio boschivo, e non solo, è ancora ben presente. Nel passato remoto il legname – citiamo sempre dalla pubblicazione del Circolo nautico delle assicurazioni Generali stampata nella “Tipografica srl” di Venezia – il legname divenne primaria fonte di sostentamento per le popolazioni locali, specializzatesi nelle varie fasi produttive ad esso afferenti, dall’abbattimento nelle impervie foreste d’alto fusto al trasporto con carri e slitte verso i depositi di raccolta lungo i fiumi, dalla segagione e squadratura all’assemblaggio e condotte via zattera dopo essere stato ridotto in tavole o pezzature commerciali”. Si ricorda che “Esperti ‘proti’ dell’Arsenale veneziano venivano inviati in sopralluogo per coadiuvare i ‘capitani dei boschi’ nella scelta dei fusti destinati alla cantieristica lagunare, ‘marchiati’ con il bollo di San Marco quando riservati alle preminenti esigenze dello Stato”. Avanti coi ricordi: Il commercio del legname cadorino aveva assunto, almeno dal 1200, dimensioni ragguardevoli ed il passaggio sotto il dominio veneziano non fece altro che sancire una interrelazione economica e commerciale già da tempo esistente e consolidata. E “i registri del Vescovo di Belluno, cui era devoluto per antichissima concessione imperiale il dazio di transito sul fiume, segnalano minuziosamente il numero delle zattere che transitavano per Borgo Piave, variabile tra 1000 e 1550 all’anno. Nel secolo scorso raggiungevano anche le 2.000 unità, per un complesso di almeno 300.000 tronchi che dalle montagne del Cadore giungevano in laguna assemblati in zattera, già in larga misura ridotti in tavolame”. Va precisato che “Lo sfruttamento sistematico del bosco e la conseguente temuta scarsità di legname, con tutte le implicazioni di ordine politico-strategico che avrebbe comportato per lo Stato, imposero un graduale aumento del controllo pubblico sulle foreste e l’estendersi delle aree boschive ‘bandite’ o ‘vizzate’, gestite direttamente dalla Serenissima attraverso i propri organi periferici o affidate alle locali istituzioni regoliere e, in primis, alla Magnifica comunità del Cadore”. Una volta abbattute con le scuri o con i segoni azionati a quattro mani, le piante venivano ridotte nelle pezzature richieste. Si procedeva quindi al loro avvallamento sfruttando, se disponibili, i ripidi canaloni naturali. Il periodo ideale per tale operazione era quello invernale, allorché il ghiaccio, o la neve opportunamente pressata, consentono un più agevole scorrimento. In alternativa si procedeva alla costruzione di canali artificiali provvisori, appositamente realizzati in legname, chiamati nel Bellunese ‘risine’. Giunte alla piazza di ammasso (‘staz’) le ‘taglie venivano marchiate con i’segni di casa’ del mercante per attestarne la proprietà e consentirne un’agevole ripartizione al loro arrivo nelle segherie e nei depositi dislocati lungo il fiume, utilizzando allo scopo l’apposito ‘ferro da segnà’”. Immancabile l’intervento di operai specializzati chiamati ‘menadàs’ ma di questi “storici personaggi” riferiremo in altra occasione.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libretto “Lungo il Piave civiltà di un fiume; Google): abbattimento, diramazione e segagione del legname nel bosco (incisione a stampa del XVIII secolo); “mandato di scorta” del 1795 compilato dal Deputato al Rai di Cadola, porto fluviale ove confluiva il legname proveniente dal Cansiglio e, in particolare, le “stèle da remo destinate all’Arsenale di Venezia; il “Mandato di scorta”del Soprastante ai Roveri nel porto montelliano di Covolo con i nomi dello zattiere e del mercante; attrezzi per la “segnatura del legname”: il “martello forestale” con marchio della ditta Ciotti, ed il tradizionale “ferro da segnà” per l’incisione del segno mercantile di proprietari e acquirenti della partita; trasporto su carri del legname ridotto in pezzature commerciali dalle foreste dell’Agordino verso i depositi fluviali (immagine del 1930 circa); centinaia di “taglie” ammassate nei depositi delle segherie di Sedico presso lo sbocco del Cordevole agordino in Piave (immagine del 1922); ricordi di Vaia: il lago di Tudaio tra Santo Stefano ed Auronzo di Cadore ricolmo del legname abbattuto dal vento; altri danni dall’evento di due anni fa.